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8 marzo: donne, vita, libertà. Oggi più che mai

L’immenso paradosso: tenere le fila della Storia e concepire i più arditi cambiamenti, eppure essere ancora oggetto di soprusi e vessazioni

Guidano governi e rivoluzioni, difendono con le armi patria e affetti, lasciando sul campo il segno indelebile di una libertà vissuta dall’interno, in cui l’immaginazione supera il sogno, diventando aspirazione, progettualità e infine realtà. Diversamente da quella concepita al maschile, la libertà declinata al femminile ben si concilia con relazioni e affetti. Costruita anche su silenzi, possibilità negate, ruoli imposti o false definizioni, nel corso della Storia ha consentito alla donna di andare oltre la pratica del maternage come unica via di realizzazione, per abbracciare contesti ben più vasti. Il maternage non è infatti solo famiglia, e non si esaurisce nell’esercizio della componente biologica.

Oggi, Giornata della donna, come ogni anno, si commemora un dramma del passato (la morte delle operaie di un’industria tessile di New York vittime l’8 marzo del 1908 di un incendio divampato nei locali dell’azienda ove erano state segregate dai padroni per aver scioperato); ma lo sguardo sull’attualità, mentre scopre il persistere di vessazioni, soprusi e diritti negati, fa anche cogliere ulteriori contenuti dell’identità femminile.

L’indiscussa capacità di andare oltre il contingente o lo stretto ambito familiare ha consentito infatti oggi alle donne un ampio esercizio della maternità – come concreto nutrimento – in progetti sociali importanti (nel campo del volontariato, dell’accoglienza, dell’integrazione), o nella gestione di intere comunità, per promuoverne crescita e cambiamento. In qualsiasi parte del mondo, e per alcuni aspetti anche nelle società meno evolute, le donne continuano a tenere le fila della Storia, incisive nel concepire e guidare cambiamenti fondamentali, anche quando sono costrette a ruoli dietro le quinte.

Rimane tuttavia immutato, in molti Paesi, il copione della reazione maschile, che segna col sangue il cammino femminile verso l’autodeterminazione, così come l’impegno della donna in ambiti diversi da quelli precostituiti. Elevate le cifre delle morti “punitive”, tanto nell’Occidente progressista (segnato dalla violenza domestica e dai femminicidi) che nei Paesi a regime dittatoriale, in cui l’avanzata femminile viene affogata nel terrore, e le controversie risolte attraverso l’eliminazione fisica. Una vera carneficina, una mattanza di donne, che però non basta a spegnere la loro voce.

Sempre più forte, il grido di Mahsa Amini continua a risuonare in Iran, lì dove è iniziato e oltre, nutrendo una sempre crescente voglia di giustizia e libertà; una libertà che espande i suoi confini verso livelli di progettualità più alti sul futuro delle donne, sulla loro possibilità di contare davvero, in ogni ambito. Un futuro che deve tuttavia passare necessariamente attraverso l’istruzione, non come semplice trasmissione di saperi, ma come nutrimento alla consapevolezza e agli ideali del sé. Non a caso, l’istruzione femminile è diventata ulteriore bersaglio della sanguinosa repressione in nome di Alì Khamenei. Dallo scorso novembre ad oggi, secondo le stime delle ong, circa 800 studentesse, tra cui ragazzine di appena 10 anni, sono state avvelenate nelle loro aule scolastiche tramite diffusione di gas nocivi. La loro colpa, quella di appoggiare l’azione dei manifestanti contro il regime teocratico. Una di loro, Fatemeh Razaei (che appare su centinaia di hashtag su Twitter) di Quom, città simbolo dello sciismo radicale, ha perso la vita ad appena 11 anni, e tante altre sono state costrette a ricorrere a cure mediche in ospedali o strutture private, divenute anch’esse obiettivo dell’azione punitiva del governo. A metà dicembre sparisce misteriosamente a Teheran la dottoressa Aida Rostami, di 36 anni, per aver soccorso e curato alcuni manifestanti feriti. Il suo corpo verrà restituito alla famiglia deturpato da evidenti segni di torture e percosse, con una mano rotta, il viso schiacciato e un occhio suturato. Un incidente stradale come sbrigativa giustificazione a questa scena da horror, che in Iran diventa ulteriore monito all’obbedienza, confermando altresì che l’istruzione della donna non è gradita.

Un divieto, quello allo studio, tra i peggiori che l’essere umano possa subire, perché lo priva del futuro, trasformandolo in un animale in cattività senza slanci vitali, come quei topi da laboratorio che in situazioni di privazione sensoriale perdono qualsiasi interesse all’esplorazione dell’ambiente, persino alla ricerca del cibo.

Di privazione ha parlato con emozione e rabbia dal palco di Sanremo l’attivista italo-iraniana Pegah Moshir Pour che, affiancata da Drusilla Foer, ha fatto sentire sulla nostra pelle il peso degli abbracci vietati, dei balli censurati, degli amori divisi; della mortificazione di ciò che è gioia, emozione, arte, in una parola, libertà.

Ma l’immaginazione della donna rimane implacabile nella capacità di proiettarla in spazi sempre più ampi, diversi da quelli usuali, ed è già al potere. Non slogan, ma realtà concreta in Italia, ove a capo del Governo e della più grande forza di opposizione troviamo due donne, su cui già gravano aspettative elevate. Non risparmiando di applicare ad entrambe i classici stereotipi sul genere, si scommette sui futuri battibecchi “tra primedonne”. Ma l’una e l’altra abilmente spostano il focus su programmi ed azioni concrete. A poche ore dalla sua elezione, Elly Schlein, prima donna alla segreteria del Pd (salario minimo, ambiente, lavoro, sostegno alla scuola e alla sanità i punti salienti del suo programma), promette di dar filo da torcere alla Meloni. Che non tarda a rispondere congratulandosi per gli ampi consensi, con qualche velato riferimento alla futura azione della neoeletta. Entrambe personificazione di un femminile vincente, non sembrano orientate a duelli personali in quanto donne, ma a giocare ciascuna le proprie carte all’interno di un’azione politica in linea con i loro specifici mandati. Perché il pregiudizio sulle donne che devono necessariamente scontrarsi è un'altra subdola invenzione maschile per scoraggiarne la solidarietà e l’azione congiunta, che ha dato e continua a dare importanti risultati sul campo, al di là di ogni preconcetto.

Una pecca tipicamente femminile potrebbe essere invece reperita in campo sentimentale, ove la donna talvolta insiste nel marcare territori che farebbe meglio ad abbandonare, per eccessivo altruismo o buonafede; la stessa che la induce ad accettare l’ultimo fatale appuntamento dal suo assassino.

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