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Al ritmo dell’umanità. La sorprendente mostra di Bill Viola a Milano

I video come “quadri viventi” che dialogano coi visitatori e costruiscono una mirabile “architettura delle emozioni»

Può una mostra far riscoprire la propria umanità e quella degli altri? Sì, può. È quello che accade visitando a Palazzo Reale “Bill Viola”, promossa dal Comune di Milano – Cultura, prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, in programma fino al 25 giugno.
Americano di origine italiana (il nonno paterno veniva dalla Lombardia), 72 anni, maestro indiscusso della videoarte, pittore e filosofo attraverso le immagini in movimento, Viola ha avuto la capacità di superare un’idea tecnica del video, il concetto di sperimentazione, per entrare in un viaggio più profondo, dove le emozioni sono messe al centro e consentono allo “spettatore” di entrare in un mondo che all’inizio può sembrare altro e che invece è il proprio.

Provo a spiegarmi meglio: quando si entra in mostra si lascia alle spalle (o, più probabilmente, si porta con sé) il mondo della fretta in cui viviamo, antitetica a quella che è la nostra natura originaria, fino a creare una società spesso anaffettiva o che, nel migliore dei casi, è aperta agli altri solo a sbalzi e con piccoli varchi. Invece lo slow motion dei video di Viola, sempre ricchi di significati profondi, costringe a poco a poco a cambiare ritmo dei pensieri, ad adagiarsi su uno scorrere del tempo primigenio che scopriamo essere molto più consonante alla nostra più autentica essenza.

Insomma, se si vuole attraversare il percorso espositivo velocemente è come se non si fosse vista la mostra, che invece ha bisogno di tempo e di attenzione. Occorre sostare davanti a ogni opera, possibilmente sedersi e “godere” di ogni singolo fotogramma (peccato davvero che l’allestimento, pur perfetto nella valorizzazione dello opere, abbia previsto poche sedute) e, si spera, con un flusso contingentato di persone. Quasi a vivere una seduta di psicoterapia.

All’inizio, per esempio, c’è «The Greeting» (Il saluto, 1995), uno dei capolavori più conosciuti di Viola, ispirato alla «Visitazione» cinquecentesca del Pontormo: dieci minuti di video per “raccontare” un incontro fra tre donne di 45 secondi (ma la proiezione non ha un inizio e una fine, è continua). Questa è considerata l’opera della svolta, in cui l’artista ha cominciato a utilizzare attori e set di impostazione cinematografica per realizzare qualcosa di estremamente personale e decisamente esistenziale.

«Rispondere in modo adeguato – ha scritto Viola – alle domande sul “perché” richiede un nuovo equilibrio tra emozioni e intelletto e una reintegrazione delle emozioni, insieme alle autentiche qualità umane della compassione e dell’empatia, nella scienza della conoscenza. Il nostro lavoro di artisti oggi non consiste nel descrivere il punto d’arrivo o la conquista di una meta, ma piuttosto nell’illuminare il percorso. Non si tratta di un sistema di prove e annunci, ma di un processo dell’Essere e del Divenire».

Ecco, quindi, perché questa mostra può aiutare a riscoprire la nostra umanità. La selezione di opere, affidata a Kira Perov (moglie dell’autore) percorre trent’anni di lavoro e indica chiaramente come Viola sia un mistico moderno che ha attraversato il buddismo zen, il sufismo islamico e il raccoglimento cristiano, che è stato capace di non fermarsi alla riflessione pura e semplice ma è riuscito (e qui sta la sua grandezza) a creare quasi un contatto tattile con chi vede. Ha spostato il suo interesse dalla tecnica pura e semplice, per considerare anzitutto il sistema percettivo dell’essere umano (il suono poi è solo quello degli elementi).

È la sua “architettura delle emozioni”, che ha portato uno storico dell’arte come Salvatore Settis a scrivere che nelle sue opere «è un “pittore” che (…) intavola con l’osservatore un dialogo».
Tutto viene accentuato quando Viola, dopo i riferimenti mai dimenticati al Rinascimento italiano, esalta i cinque elementi delle filosofie orientali, che diventano la base per illustrare il rapporto fra l’uomo, la nascita e la morte in un costante divenire, che raccoglie un concetto di Buddha, oltre che dei pensatori greci. Ecco che il video diventa il contenitore di tutto, perché come ricorda Valentino Catricalà in catalogo, a Viola è cara una citazione del maestro zen Dogen (XIII secolo): «La luce della luna copre la terra, eppure si può contenere in una sola scodella d’acqua».
La scodella dell’artista americano è appunto il video e alcune delle opere in mostra sono particolarmente potenti in questo senso, per immagini evocative e per chiarezza di significato. Come accade in «Oceano senza riva» (2007), incontri all’intersezione tra vita e morte, oppure nella serie «Martiri» (2004), persone diverse sovrastate da Terra, Fuoco, Aria e Acqua, o ancora «L’ascensione di Tristan» (2005), in cui è descritta l’ascesa dell’anima nello spazio.

Le immagini e neppure ciò che appare su youtube possono rendere per intero la qualità, estetica e contenutistica, dei video di Bill Viola. Questa è una mostra che, se c’è la possibilità, merita un viaggio. Perché ci riconduce dentro di noi e ci restituisce le nostre capacità di empatia e di dialogo. Non è poco.

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