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«La Pace preventiva» può farla solo l’arte. Michelangelo Pistoletto a Milano

Tutte le opere-icona del Maestro dalla «Venere con gli stracci» al magico «Terzo Paradiso»

«Il mondo fa le guerre per prevenire la Pace, che senso ha? Io promuovo la Pace per scongiurare la guerra». Parola di un genio dell’arte contemporanea, Michelangelo Pistoletto, la cui mostra dal titolo, appunto, «La Pace Preventiva» – promossa da Comune di Milano, Palazzo Reale, Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Skira, curatore Fortunato d’Amico – è allestita fino al 4 giugno a Milano a Palazzo Reale, salone delle Cariatidi. Sono presenti tutte le opere-icona di Pistoletto, sistemate in un curioso movimento ondulatorio labirintico che occupa l’intero spazio espositivo.

Farà novant’anni il 25 giugno. Che non si pensi a un amabile vecchietto. Cioè, amabile sì, ma niente a che fare col vecchietto. Michelangelo Pistoletto (Leone d’oro alla carriera già nel 2003), pizzetto pirandelliano, vestito di chiaro (o decisamente di nero) con un’elegante lunga sciarpa, cappello alla Joyce, anche quello bianco o nero, ha camminata ed eloquio privi delle titubanze dell’età anziana.

Nato a Biella nel 1933, figlio unico di padre pittore (Ettore Olivero, che aveva realizzato una serie di dipinti sulla storia dell’arte della lana per la Zegna di Biella), Pistoletto fin da bambino frequenta lo studio di restauro aperto dal padre a Torino, dove la famiglia si era trasferita nel 1934. Lì il ragazzo diventa apprendista, come usava allora. Il padre essendo avverso alle tendenze dell’arte moderna, Michelangelo apprende le basi del disegno e della pittura medioevale e rinascimentale e tutte le tecniche di restauro. Gli piacerebbe provarsi nel ritratto, ma non ci sono i soldi per procurarsi dei modelli. Allora si copia dallo specchio. Nasceranno così gli oramai celeberrimi «Quadri specchianti», sigla inconfondibile di Michelangelo Pistoletto. Li espone per la prima volta nel 1963, alla Galleria Galatea, ed è subito interesse internazionale. La fama non lo fa aspettare. Sono gli anni della Pop Art e del Nouveau Realisme e Pistoletto riceve un invito pressante dagli Stati Uniti, dove lo acclamano «Uno dei nostri, della Pop Art», di cui vorrebbero farne un elemento portante.

Ma qui compare la singolarità dell’Artista, singolarità da lui ribadita anche alla presentazione della mostra di Palazzo Reale appena inaugurata: alla proposta americana lui risponde no. Anzi, decide di eliminare subito la sua sigla, per non divenirne schiavo. È pronto a cancellarsi del tutto, per inventare qualcosa di nuovo e di diverso. «Non voglio essere quello degli specchi. Voglio essere in continuo divenire». E, fedele al suo proposito, già nel 1964 espone i Plexiglass, un gruppo di opere che costituiscono una prima trasposizione nello spazio reale della nuova dimensione che, se ha preso inizio dai quadri specchianti, va oltre, verso una dichiarazione di “concettualità” dell’arte. Sarà sempre così, con opere che materializzano concetti anziché oggetti o forme.

Realizzerà “azioni” fuori dai tradizionali spazi espositivi, come lo Zoo, concepito da persone (artisti di diverse discipline, quali l’attore Lionello Genner, il musicista Enrico Rava, il compositore Morton Feldmann o componenti della sua stessa famiglia) cooptate per collaborazioni creative. Nascerà l’Arte povera, movimento di cui Pistoletto è animatore e protagonista. Le prime opere sono realizzate con degli stracci («Venere con gli stracci», appunto, 1967). Pistoletto continua a cambiare, inventare. Ad ogni modo, se non vuole etichette né essere un caposcuola, una nuova sigla personale la trova. La replicherà applicandola a realtà differenti, ma sarà inconfondibilmente sua: è quell’8 doppio, con tre asole. Lo chiama l’Inizio della creazione. E siccome da sempre Pistoletto si muove nella promozione della pace, della sostenibilità dell’ambiente e del sociale, il suo 8 (volante?), messo in becco alla colomba di Picasso, diventerà simbolo del Terzo Paradiso, anticipo de «La pace preventiva».

Userà questo simbolo all’infinito: creando un percorso nel Bosco del Fai di San Francesco di Assisi; riproducendolo a Ventimiglia al confine italo-francese; proiettandolo sulla piramide del Louvre a Parigi; ricostruendone il disegno con 193 pietre-una per ciascun Paese dell’Onu- a Ginevra. Nel 2017 il grafema viene inserito dalla Agenzia Spaziale italiana nel logo della missione “Vita” della Nasa. Il simbolo è stato regalato a Biella – diventata Città creativa Unesco – sede della Fondazione Pistoletto nata come “Progetto Arte” allo scopo di porre in comunicazione ogni attività umana, vale a dire tutte le istanze del tessuto sociale. Centro culturale fucina di iniziative, sito in un complesso di archeologia industriale – l’opificio dismesso del lanificio Trombetta – richiama studiosi e studenti da tutto il mondo. L’arte come rivoluzione totale? Fosse la volta buona!

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