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De Giovanni, il maestro del romanzo nero italiano: "Il noir che strumento!"

«L’unico capace di narrare con onestà la società contemporanea: è un racconto vivo, un mosaico di voci»

«Sono convinto che il romanzo nero italiano nel prossimo futuro sarà oggetto di studio. È un racconto vivo, un mosaico di voci diverse e composite, l’unico capace di raccontare la società contemporanea con onestà». Firmato Maurizio De Giovanni, il più autorevole rappresentante del genere, uno scrittore a tutto tondo, generoso e capace di spaziare con eguale successo dai romanzi alla drammaturgia, creando personaggi da cui sono nate serie tv di successo, dando vita ad un universo di voci mediterranee che ammalia e fidelizza i lettori.
Un successo ribadito da “Sorelle. Una storia di Sara” (Rizzoli), la nuova avventura di Sara Morozzi che stavolta dovrà lanciarsi in una corsa contro il tempo per salvare l’amica Teresa: due donne diversissime ma unite dal lavoro nei Servizi e dalle cicatrici della vita. Il rapimento di Teresa, la Bionda, si rivelerà un caso difficilissimo per Sara e la sua banca di accoliti, rivelando una serie di loschi personaggi e un traffico di ecomafia decisamente attuale.
Per la sua unica tappa siciliana, lo scrittore Maurizio De Giovanni sarà oggi a Messina, incontrando i lettori alla libreria La Gilda dei Narratori (alle 18.30).
De Giovanni dopo “Il Commissario Ricciardi”, “I Bastardi di Pizzofalcone” e “Mina Settembre”, anche Sara approderà in televisione per una produzione Netflix con Teresa Saponangelo e Claudia Gerini. Felice?
«È bello che le storie approdino sullo schermo ma credo corra una grande differenza fra la lettura e una qualsiasi altra forma di fruizione delle storie: le parole lette stimolano la nostra immaginazione, attivando un processo di integrazione da parte del lettore che completa il lavoro dello scrittore».
La serie dedicata a Sara Morozzi riscuote crescente successo tra i suoi, già tantissimi, lettori. Perché?
«Quando scrivo Sara mi confronto con un altro tipo di storia, guardando sotto la superficie delle cose, uno dei compiti specifici del romanzo nero».
Leggendo Sorelle si ha la sensazione che ogni volta sia dedicato ad uno specifico sentimento che lega la narrazione. Accade anche qui?
«Certamente. Le parole con cui Massimiliano Tamburi prende congedo per motivi di salute affidando tutto nelle mani di Teresa sono significative. Gli amici si lasciano e si riprendono nel corso del cammino, la sorellanza è per sempre».
Il suo più grande talento è probabilmente l’ampio respiro, la coralità dei suoi personaggi che compongono uno spartito armonico. Come ci riesce?
«Somiglia all’esplorazione di un mondo allargando lo sguardo e prendendo confidenza con l’ambiente che lo circonda, cogliendone tutte le sfumature. E per mia fortuna, il mondo di Sara mi ammalia ogni volta sempre di più».
Come sta il romanzo nero italiano?
«Benissimo! Il movimento del romanzo nero italiano è la più fertile, originale e potente modalità di riconoscimento del territorio. Un romanzo che solo ad uno sguardo distratto appare disarticolato, vario e polifonico, in realtà compone un ritratto del Paese vivido ed efficace come nessun altro genere letterario è in grado di fare».
Nonostante la qualità produttiva, l’affetto e la fidelizzazione dei lettori da Nord a Sud, la critica snobba il noir italiano, e i premi blasonati non lo prendono in considerazione. Vende troppo e crea invidie nei salotti?
«Il problema è proprio la popolarità riscontrata dal romanzo nero. C’è un tipo critica letteraria che amministra la cultura secondo un preciso precetto: una cosa che piace a tanta gente non può essere di alta qualità. Ovviamente trattasi di una clamorosa fesseria».
Perché?
«I lettori non sono passivi. I lettori sono un pubblico critico, esercitano una scelta e se piace a tanta gente, a mio modo di vedere, significa che la giuria che ti ha promosso è davvero ampia».
Le spiace che la critica che potremmo definire blasonata ignori il romanzo nero popolare?
«In fin dei conti va bene così. Io penso solo al lettore».
Nei suoi libri accanto ai personaggi principali si muovono alcuni elementi che rappresentano il potere economico. In Sorelle troviamo il Dottore, l’Avvocato e il Giardiniere. Chi sono?
«Pensare che l’alta finanza o la grande industria non abbiano connessioni con i Servizi e la politica è una beata ingenuità. L’Italia, come tutto l’Occidente, ha una storia ufficiale assai lacunosa anche a causa di controlli a maglie larghe appaiati con un’eccessiva burocrazia. Paradossalmente, persino l’imprenditore più onesto sembra venga instradato alla corruzione per far andare avanti le cose…».
A proposito, qui affronta il tema drammatico delle ecomafie con un traffico di navi nel Mediterraneo e parecchi soldi in ballo.
«Partono navi cariche di rifiuti tossici che arrivano nei paesi dell’Est senza alcun problema. Tutti lo sanno ma nessuno si oppone. Parimenti, è noto che nella provincia di Brescia e Bergamo si costruiscono mine antiuomo, peraltro di materiale plastico quindi non rilevabili con i metal detector, che vengono esportate in tutto il mondo…».
È il trionfo del business a spese della collettività?
«Il capitalismo non è mai stato etico. Questo modello si è imposto in tutto il mondo e provoca una serie di catastrofi nella collettività. Il romanziere deve raccontare storie e tocca al lettore trarre le sue conclusioni, sulla base di una valutazione oggettiva della realtà».
I suoi libri hanno una caratura politica?
«Giocoforza, sì. Il romanziere, a mio avviso, dev’essere onesto nel suo approccio alla realtà, consegnando tutto nelle mani del lettore».
Cosa uscirà nel prossimo futuro?
«Arriverà un nuovo libro del Commissario Ricciardi. Sto raccogliendo gli elementi necessari per scriverlo».
De Giovanni, ma come fa a saltare felicemente da una serie all’altra?
«Quella è la parte più bella del mio lavoro».
E intanto, fra le pagine di Sara si affaccia una nuova protagonista, la dottoressa Bianco, una nativa digitale dalla risposta pronta. Chi è?
«Bianco mi interessa moltissimo. Appartiene alla nuova, indecifrabile generazione. I trentenni si muovono secondo altre prospettive e hanno caratteristiche che talvolta, mi inquietano. Ecco perché mi affascinano».

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