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Messina, I Pinguini Tattici Nucleari rispondono ai dieci lettori della Gazzetta del Sud

Hanno vinto il nostro contest “Indovina la domanda” e oggi li incontreranno

Pinguini Tattici Nucleari

«Quando noi scriviamo una canzone non pensiamo mai “Wow, che figata!” Ci vuole sempre il rapporto con il pubblico, bisogna suonarla live per capire. Tant'è vero che spesso, anche in passato, canzoni che magari non ci sembravano cavalli da battaglia, live hanno sortito un effetto incredibile e tutto lo stadio, tutto il palazzetto le cantava. Non sei mai tu a dirlo soltanto, è come “Uno, nessuno e centomila”. L'identità di una canzone viene data da tante sfaccettature, non solo quello che pensiamo noi, però direi che in certi casi si riesce a scrivere qualcosa di cui ci si può fidare dal punto di vista della riuscita. Per esempio, quando scrissi “Pastello Bianco” pensai “questa secondo me live la cantano di brutto”. E così è stato».

Avete mai avuto momenti in cui avete pensato di arrendervi come band? Se sì cosa vi ha spinto a continuare? (Eleonora Perrone)
«No, in realtà non credo che abbiamo mai avuto dei momenti in cui pensavamo di arrenderci, anche perché abbiamo sempre fatto tutto quello che abbiamo fatto, divertendoci molto. Io direi dipende da cosa significa arrendersi. Abbiamo sicuramente valutato in certi punti, magari non proprio idilliaci dalla nostra carriera di potere fare musica e un altro lavoro. Quello non significa arrendersi, anzi è ancora più lodevole. Una persona che si sbatte tutto il giorno in fabbrica e poi la sera suona, è una persona da rispettare, da onorare. Quindi io non direi arrenderci, anzi abbiamo pensato a un certo punto di tirare così duro, di tirare così avanti, addirittura di suonare e avere un lavoro insieme. Fortunatamente abbiamo avuto questo destino che ci ha portati a suonare e basta e la nostra professione è diventata questo lo vediamo».

“Hikikomori” è termine giapponese che significa "stare in disparte", viene utilizzato per indicare chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, alle volte anni. Ed è una vostra canzone. La società di oggi spesso troppo competitiva porta la gente e ritirarsi. Il vostro è un invito a fare comunità. Ma qual è il segreto per stare bene con gli altri? (Vittoria Marchesana)
«Per stare bene con gli altri occorre stare bene con se stessi. Non è un male essere competitivi, ma dipende verso cosa questo sforzo viene compiuto. L'importante è non vivere il mondo esterno né in modo troppo serio, né troppo distaccato né alla leggera. Affrontare gli altri è sicuramente difficile, ma è anche un modo per crescere e per ritrovare se stessi nelle diversità e nelle difficoltà dei rapporti, accettando di essere giudicato, di sbagliare, ricordandosi quindi di non prendersi troppo sul serio».

“Pastello Bianco”, “Rubami la notte”: in diversi testi delle vostre canzoni tu bevi sempre la Coca Cola e lei sempre la tisana thai? E' un'esperienza personale? (Carola Riccardi)
«Che io beva sempre Coca cola è abbastanza vero e lo sanno le persone che mi stanno accanto, perché l'ho fatto fin da piccolo. Mi è sempre piaciuta perché sono molto zuccherino come tipo, mi piace molto il dolce. Anche sulla tisana thai devo dire che le mie ultime ragazze, se penso ai miei ultimi anni, erano sempre molto appassionate di tisane, di tè e di bevande calde in generale, quindi potremmo dire che è autobiografica. Sì».

Nel 2019 vi ho sentiti live al MishMash di Milazzo e l'anno seguente arrivate terzi al Festival di Sanremo. Quindi si può dire che Messina vi ha portato molta fortuna. Siete nati tutti tra il 1991 e il 1994, quindi l'influenza della cultura pop anni 90/2000 è molto forte nei vostri testi. Da Takeshi's castle al gioco di frasi con Ted e Robin e Batman a citazioni di fatti di cronaca come in Rubami la notte. Mi sento come quando tornavo da scuola, aprivo la tv, e iniziava tutto il palinsesto che oggi ritroviamo nei vostri testi. Avete tutti una capsula del tempo in cui raccogliete queste citazioni e le vostre esperienze e ne fate un mix esplosivo di emozioni? (Adrian Montemayor)
«Non c'è nessuna capsula del tempo in cui nascondiamo tutte le citazioni, le influenze e i pensieri. Tutti i riferimenti alla cultura pop, alla vita quotidiana, alle cose della nostra vita vengono fuori mano a mano nel percorso creativo. Più che altro il fatto è che viviamo in un eterno presente liquido, in cui on line è presente tutto e quindi anche nei nostri discorsi privati è presente tutto. Non è che qualcosa degli anni ‘90 lo hai vissuto solo negli anni ‘90, lo puoi vivere ancora oggi su YouTube, sul sito della Rai, anche nell'archivio se vuoi. Secondo noi è un'epoca fortunata, proprio perché viviamo immersi in milioni di culture che ci hanno preceduto e proprio per questo dovremmo essere in grado di prenderle e rimaneggiarle come vogliamo».

In quale concerto i Pinguini Tattici Nucleari hanno cambiato una frase del testo della canzone Pastello Bianco, riscrivendo la frase in "Tu mi hai insegnato la differenza tra gli spiedini e gli arrosticini"? E se al concerto di Messina cantassero..." Tu mi hai insegnato la differenza tra gli Arancini e l'Arancina"? Vi sfidiamo. Li avete mai assaggiati? (Dario Donnina)
«Francavilla al Mare, un magnifico concerto, una magnifica spiaggia. Uno dei concerti più pittoreschi, proprio sulla spiaggia, ma senza deturpare minimamente il paesaggio, in modo totalmente regolare e di comune accordo con l'amministrazione comunale, abbiamo suonato sulla spiaggia in modo molto poetico e a un certo punto, in onore dei cittadini abruzzesi, dato che c'era quel trend di cambiare la frase a seconda dei posti dove eravamo ubicati, ci siamo sentiti di dire così a gran cuore, a gran voce, “gli arrosticini e gli spiedini”. Perché c'è una differenza nella preparazione, quindi era un omaggio. Per quanto riguarda gli arancini l'abbiamo già fatto a Catania l'anno scorso a Villa Bellini. Diciamo che bisogna essere gender fluid quando si parla di arancini».

Tra di voi chi è il Pinguino, il Tattico e il Nucleare? (Giorgia Aveni)
«Difficile fare una distinzione di questo tipo, siamo una band di sei persone e ognuno è diverso dall'altro. Ci completiamo e accettiamo le nostre diversità, le valorizziamo».

Le vostre canzoni, la musica e le vostre frasi sono diventate simbolo di quotidianità per molti ascoltatori. Mi chiamo Grazia, sono mamma di due bambini, Cecilia 8 e Simone 9. Le nostre giornate sono sempre tanto frenetiche e sempre affrontate in 3. Non tutto quello che affrontiamo è lieto e delle volte buttiamo giù un boccone amaro. Spesso il momento di sconforto prende il sopravvento e i dubbi sulla capacità del ruolo da genitore li accompagnano. Quando tutto sembra senza risposta i miei figli mi ricordano: "Mamma tu ci insegni la differenza tra le ciliege e le amarene". Per me è diventata la "frase rito" nei momenti pieni di punti interrogativi. Avete anche voi delle "frasi rito" che vi sostengono nei momenti più ostili? (Grazia Polimeni)
«La mia frase è “Elio passa”: ci sono molti momenti in cui noi stiamo giocando a Fifa in tour e lui non passa mai la palla, quindi mi piacerebbe che la passasse di più. Però, tornando su un piano più serio, è chiaro che ci sono tante frasi che ci diciamo. Io non ho dei motti personalmente, però tendo ad essere pessimista, così quando arrivano le cose belle sono il doppio più contento».

“Irene rubami la notte fuori dall’Hype mangiando verdura, sashimi e bevendo coca cola zero. Ricordi la nostra storia infinita da Giovani Wannabe? Quel giovane dentista in Croazia che mi consigliò: “Scrivile scemo, falla ridere!” Nonono dissi, e poi… scrissi con un pastello bianco, ti regalai Scooby Doo e non ci lasciammo più!”. Il tuo Ringo Starr Giocando con mia figlia di 5 anni (che ama il gruppo) abbiamo inventato questa storia d’amore. Domanda: i temi affrontati dalla band sono tantissimi… quale è il tema che non tratterebbero mai nelle loro canzoni? (Ludovico e Claudia)
«Un tema che io non tratterei mai in una canzone, (per il momento, perché tutto vale la pena di essere raccontato, ma nel momento giusto), è quello di un figlio o comunque di una persona con un'età bassa. Penso che alcune cose della vita le devi esperire prima di poterle raccontare. Ci sono altre che ti puoi immaginare. Puoi immaginare come avere una malattia e immedesimandosi in una persona vicina a te che ha una malattia, puoi cercare di scrivere riguardo a questa. Però sull'avere un figlio, penso di aver capito che prima di scrivere una canzone del genere, cosa che farò spero in futuro, voglio capire a chi sto parlando e spero che ne verrà fuori una buona canzone, ma per il momento off limit. Per rimanere nella scia, sempre per un discorso di rispetto di una cosa forte, importante, che non ho ancora vissuto: non scriverei mai di un amore compiuto, di un matrimonio, di una scelta eterna di questo tipo. Non scriverei una canzone che parli di cosa non dire, di cosa non fare, che parli di tabù. Essendo la scrittura di una canzone un atto artistico e libero, piuttosto deve raccontare che cosa sia bello fare o dire. Non bisogna fare i moralisti».

Ciao sono Fabio, ho 10 anni e sono un vostro fan e il biglietto per il concerto è stato il regalo di Natale che ho chiesto a mamma e papà. Siete la mia band preferita e ho iniziato ad ascoltarvi quando ho sentito per caso una vostra canzone durante il lockdown. Mi facevate compagnia e mi mettevate allegria. Lake Washington Boulevard sembra una canzone allegra, invece non lo è, a cosa vi siete ispirati? Qual è la canzone che vi mette più tristezza quando la cantate? (Daniela Gullì)
«A me mette malinconia il non suonare più delle canzoni. Il suonare una canzone è sempre un atto di gioia, perché anche solo fisicamente stai suonando uno strumento, stai utilizzando le tue corde vocali, stai facendo qualcosa e nel fare non c'è mai tristezza di malinconia, essendo noi persone molto pragmatiche. Nel non fare o ancora peggio nel disfare, c'è secondo me invece della mestizia e della tristezza. Perché pensi che quelle canzoni come “Bagatelle”, come “Sciare”, “Castagne Genge”, che suonavamo agli inizi, non le suoniamo più perché la gente non le capisce più e la nostra identità è cambiata. Quindi non è tanto in quello che suoni, ma in quello che non suoni, che vive la malinconia»

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