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Paolo Rossi, un cantastorie e la sua “rivoluzione artistica”

In scena a Tindari l'1 agosto con “Odissea, un racconto mediterraneo – Stand up Omero” «Spettacolo in continua evoluzione e interazione con il pubblico»

Se Omero era un cantastorie (e lo era), Paolo Rossi è il suo profeta. Provare per credere: martedì 1 agosto l'attore sarà protagonista nel teatro greco di Tindari di “Odissea, un racconto mediterraneo – Stand up Omero”, un progetto di lungo corso di Sergio Maifredi (anche regista) per il Teatro pubblico ligure. Ogni volta Rossi, accompagnato alla chitarra da Emanuele Dell'Aquila, aggiunge e toglie seguendo le reazioni del pubblico, coinvolto a pieno titolo nelle vicende di Ulisse, anche se una parte importante è sempre riservata al rapporto non facile tra l'eroe greco e la maga Circe. In questa occasione, che fa parte del cartellone del Festival di Tindari (direzione artistica di Tindaro Granata), la suggestione dei versi omerici si arricchisce di quella dei luoghi siciliani, che fanno da sfondo alle avventure del lungo viaggio di ritorno da Troia del re di Itaca.
«Credo che in questo momento storico – ci dice Rossi – il teatro presenti ancora di più il vantaggio di essere ogni volta irripetibile. Uno spettacolo come questo non è mai uguale a se stesso. C'è una traccia ma tutto si evolve secondo l'interazione con il pubblico. Altro che Netflix! Non sarà un caso se giriamo sempre con il tutto esaurito».
Quindi l'improvvisazione come regola.
«Proprio così. Io ho avuto la fortuna di avere imparato dai veri grandi. I miei migliori maestri sono stati Enzo Jannacci, grande improvvisatore (molto più di Fo, per esempio) e Giorgio Gaber, che improvvisava meno ma era bravissimo nell'uso della musica. Dico che i musicisti che lavorano con me sono una pattuglia acrobatica, anche quando è uno solo: si trovano a cominciare una canzone e poi si va avanti con tutt'altra cosa. Perché io ho fatto la gavetta nei locali milanesi di una volta, ora non si usa più».
Lei canta sempre nei suoi spettacoli e poi si è trovato perfino in gara al Festival di Sanremo.
«È vero, anche se non sono un cantante, semmai un cantastorie. Sono stato a Sanremo con Jannacci, con Bersani e recentemente con Lo Stato Sociale ed è andata bene. Ma quando sono andato come concorrente in proprio, è finita diversamente».
Già, era il 2007, e lei cantò “In Italia si sta male”, un inedito di Rino Gaetano.
«Era una canzone incompiuta, forse sarebbe stato meglio presentarla fuori gara, come un omaggio alla memoria di Gaetano. E poi, lo confesso, non avevo capito nulla di come funzionava il televoto. Nella classifica della giuria ero quarto, poi raccomandai ai miei amici di telefonare e votarmi. Loro lo fecero ma gli “amici” delle case discografiche erano 15mila per volta. Credo che arrivai penultimo».
E ha sempre fatto molto cinema.
«Da quando abito a Trieste, succede sempre più spesso che il cinema passi da qui: ho girato quattro film in due anni. La cosa più impegnativa del cinema è trovare una sedia dove passare le lunghe attese tra un ciak e l'altro. Sa chi mi ha insegnato a stare bene davanti alla macchina da presa?».
Un regista immagino.
«No, è stata Stefania Sandrelli. Sa, io ho un corpo buffo e una faccia drammatica, non devo dimenticarlo e trovare il modo di essere credibile. Ovvero devo essere molto naturale ma tenendo sempre presente in un angolo del cervello che qualcuno mi guarda. Questo è il segreto».
In passato lei è stato censurato in tv. Oggi con questa Rai cosa le potrebbe accadere?
«A quel che vedo, oggi molte canzoni di De Andrè o di Gaber non potrebbero essere eseguite. Forse anche Cocciante con il suo “Adesso siediti!” sarebbe censurato. Io non faccio polemiche, ma sono scorretto quando devo esserlo. Anche per questo preferisco il teatro, il luogo delle relazioni sociali. Qui si può fare sempre la rivoluzione artistica. Ho cominciato tanti anni fa con l'abbattimento della “quarta parete” e sono andato avanti superando paure e stanchezze. Anche nel periodo del Covid».
Ma era tutto fermo.
«Io no, ho fatto spettacoli nei cortili delle case di ringhiera milanesi con le persone distanziate di cinque metri e ho aggirato i protocolli rigidi inventando, in sicurezza, le visite guidate alle prove. L'intelligenza di Ulisse mi ha insegnato tante cose»

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