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Esce oggi in tutto il mondo Holly, bentornati nei “luoghi oscuri” di Stephen King

Un giallo, più che un horror, in cui il focus non sono i delitti seriali ma la discesa negli inferi dell’animo umano. Nell’America post Trump ma ancora dentro il Covid

Una detective con mascherina e gel disinfettante per le mani, che si muove nell’America post Trump ma ancora dentro la tragedia collettiva del Covid, con tutti i suoi strascichi sociali, sanitari e umani. È lei l’eroina che dà il nome all’ultimo romanzo di Stephen King, in libreria da oggi in tutto il mondo, «Holly» (Sperling & Kupfer, traduzione di Luca Briasco). Un giallo, piuttosto che un horror, ma un giallo di cui sappiamo da subito chi sono i colpevoli e che tipo di crimine hanno commesso, e infatti il focus non è il delitto (in questo caso rapimenti e omicidi seriali), ma – come sempre in King – la discesa negli inferi, che siano veri cunicoli abitati da creature soprannaturali o che siano quelli della psiche umana, da sempre alleata, nei romanzi del Re, con le forze più oscure dell’universo, o degli universi.
La cosa, però, che più sorprende in questo romanzo, per altri versi perfettamente dentro lo stile e i temi dell’autore – anche nella ripresa di personaggi già visti in altre narrazioni, e nella rete di richiami e autocitazioni – è la più marcata, anzi decisamente (pure troppo) insistita ambientazione non in una generica contemporaneità, ma negli Stati Uniti dell’estate 2021, ovvero dopo la fine della rovinosa presidenza Trump e ancora dentro la tempesta Covid, col cambio di gestione della pandemia dopo il diffuso negazionismo e la superficialità dell’approccio trumpiano e repubblicano e i suoi disastri. Sappiamo che Stephen King è stata una delle celebrità più attive e schierate, nel periodo del Covid, contro gli atteggiamenti antiscientifici e i terrapiattismi e complottismi beceri dei novax, e che spesso ha espresso giudizi taglienti – pure in altre narrazioni – contro Trump e il trumpismo, ma in qualche modo questo è divenuto, in «Holly», il perno etico della narrazione. Attraverso la descrizione capillarissima d’un mondo che ricordiamo bene tutti noi, in cui certi “dilemmi etico-sanitari” ci hanno condizionato per mesi la vita: entro o non entro, in un luogo in cui nessuno ha la mascherina? Porgo il gomito o la mano, e perché devo litigarci su? Sarà maleducato, chiedere se è vaccinato prima di entrare in casa sua? Ma anche cose molto peggiori: gli ospedali al collasso, la vita difficile di chi aveva bisogno di controlli o assistenza, le quarantene che spezzavano socialità e rendevano difficoltosi mestieri e professioni, la continua, sfibrante contesa con novax (e loro padrini politici) e altri deliri.

Poi, semmai, è ironia del più fine genere kinghiano che la meravigliosa Holly, con tutte le sue insicurezze e fragilità – le famiglie tossiche sono un altro grande tema di King, e producono alcune delle sue più riuscite vittime ma anche lucenti eroi ed eroine – , sia pure ipocondriaca (tempi d’oro, le pandemie, per gli ipocondriaci!), e che la coppia di assassini seriali sia – apparentemente – il meglio dell’intellighenzia dem e progressista.

E se da sempre l’America profonda, quella in cui pescano adepti i suprematisti e i pistoleri, è stata oggetto narrativo privilegiato di King (in ogni suo romanzo il Male cosmico e atavico trova sempre complici o facilitatori o persino vie d’ingresso proprio nei peggiori dei nostri simili: i razzisti, i forcaioli, i maschilisti, i violenti, gli omofobi), qui talora si ha la sensazione che tutto il romanzo – per quanto felice narrativamente, impeccabile nella costruzione, acuto nelle psicologie e serrato nei ritmi – sia costruito con eccessiva insistenza su questi temi, e la preoccupazione sia anzitutto di segnalarci i danni che il pensiero irrazionale, il complottismo, il razzismo possono portare alla comunità, anche dove non ce lo aspetteremmo. Con un retrogusto “pedagogico” o persino “moralistico”, tanto che lo stesso King sente il bisogno, nella «Nota dell’autore» finale, di fugare il sospetto che, come dice lui, «parli dal pulpito».

Lo scrittore chiarisce che la credibilità della narrativa è nella capacità di coesistere con la vita reale e i suoi eventi e personaggi, e si preoccupa di certificarci d’aver «rappresentato in modo corretto» anche idee diversissime dalle sue (per tacere tutta la polemica sul soggetto del racconto «Ratto» nella raccolta «Se scorre il sangue», scritto ben prima del Covid ma che sembra parlare del Covid: è proprio vero che i grandi narratori anticipano i tempi, li sentono...). Possiamo rassicurare re King: un novax, un negazionista (diversi personaggi parlano del Covid come di «un complotto» basato su «una semplice influenza», come la madre novax della protagonista, che infatti ne morirà), un terrapiattista sembreranno sempre degli imbecilli, anche descritti meno bene di come fa lui. E sì, il Male a volte non ha bisogno di vampiri, alieni e cose dormienti: i «luoghi oscuri» li portiamo anzitutto dentro.

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