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Salina Doc Fest, il bilancio di Giovanna Taviani: come raccontare il cinema nelle isole omeriche

Un legame forte, viscerale quello che unisce Giovanna Taviani, figlia di Vittorio e nipote di Paolo, a Salina, perla delle Isole Eolie. Un set a cielo aperto per tanti film che hanno fatto la storia e da diciassette edizioni sede del Salina Doc Fest, la manifestazione fondata e diretta dalla regista romana che si è conclusa domenica. «Donna Oltre Confini» la tematica di quest’anno, col focus sulle donne nel cinema. Una “chiamata alle armi”, come la definisce la sua ideatrice, in cui registe, scrittrici, sceneggiatrici hanno raccontato la realtà e il linguaggio del cinema da un’angolazione nuova.
«Siamo partiti con un omaggio ad Agnès Varda – racconta Taviani – pioniera ed unica donna della Nouvelle Vague,che ha anticipato Godard, Truffaut, Resnais. Abbiamo ricordato poi una grande “disobbediente” della letteratura, Goliarda Sapienza, il cui romanzo postumo “L’arte della gioia” (Einaudi) ha ispirato Valeria Golino per una serie Sky, scritta con Francesca Marciano, una delle più grandi sceneggiatrici viventi (membro della giuria, ndr). Per chiudere con un omaggio a Rosa Balistreri di Isabella Ragonese, senza trascurare il focus su “Donne e Iran” rappresentato da Firouzeh Khosrovani».
Quindi la donna protagonista più che mai, assieme all’Isola di Salina che per te è un posto del cuore, dove hai girato il documentario «Fughe e approdi».
«Assolutamente sì. Ricordiamo che il 16 settembre è stato il primo anniversario dell’uccisione di Mahsa Gina Amini e noi dalla Piazza di Malfa abbiamo aderito all’appello di tutte le piazze italiane per Mahsa. Non potevo non dedicare questa edizione alle donne in un’Isola donna come Salina, che è proprio l’Isola Madre, l’Isola Verde. In “Fughe e approdi” ho raccontato quei luoghi dal punto di vista della regista. Sono isole che frequento dall’età di quattro anni, perché c’è la casa di famiglia, di mio padre e mio zio. Sono diventata a poco a poco un’isolana, perché ho cominciato a starci sempre di più, anche fuori stagione. Luoghi cui sono legata anche come attrice perché a 13 anni, nel film di papà e Paolo “Kaos”, girato a Lipari, interpretai la madre di Pirandello da piccola che si buttava dalle Pomici. Mi sono inventata con Antonio Pezzuto e Mazzino Montinari questo festival proprio per poter condividere il privilegio che ho avuto nel conoscere l’isola di Salina. È quindi un luogo dell’anima, non solo di vacanza. Come ho detto pochi giorni fa, isolani sì, isolati no. Io mi sento molto meno sola qui a Salina che non a Roma. L’insularità non è isolamento».
Il Salina Doc Fest ha ospitato grandi registi anche nelle precedenti edizioni. Uno di loro, Nanni Moretti, aveva soggiornato nella vostra casa di famiglia...
«Quando aveva 20 anni Moretti venne ospite di papà e Paolo, perché al tempo era un seguace dei loro film, e dormiva con noi nello stanzone delle cuccette. Come film aveva fatto solo “Io sono un autarchico” ed “Ecce Bombo”. Dopo tanti anni è ritornato per il festival, diretto da quella bambina ora diventata grande, con “Mia madre”, assieme ad altri ospiti internazionali».
Le Eolie sono state un set naturale per il cinema, da Antonioni a Rossellini e De Seta fino allo stesso Moretti e a Troisi. Quali peculiarità le rendono luoghi ideali per le storie del grande schermo?
«Sono isole omeriche, epiche, che non troviamo da nessuna parte nel mondo: molto vicine e tutte diverse tra loro. Rossellini arriva nell’isola di fuoco, Stromboli, e dice: “Io una cosa del genere non l’avrei mai potuta immaginare!”. Hanno un potenziale immaginifico, omerico, ed è normale che un cineasta ne venga folgorato, come nel caso di Vittorio De Seta che decise di raccontare il mondo perduto dei pescatori e dell’eruzione del vulcano di Stromboli in “Isole di Fuoco”. I più grandi registi che hanno girato film a soggetto, parlo di “Stromboli (Terra di Dio)”, “L’Avventura,” “Kaos”, “Il Postino” e “Caro Diario”, hanno deciso di ambientare le loro storie in una scenografia che è unica, nel senso che non si può trovare di meglio in assoluto».
Un bilancio di questa edizione?
«Appagata e ripagata. Mai come quest’anno un pubblico così folto. Il festival è diventato molto grande da tutti i punti di vista, nel bene e nel male. Molto grande significa grande successo, ma crescendo il festival dovrebbero crescere gli sponsor e i finanziamenti che invece rimangono allo stato attuale. La regista iraniana Firouzeh Khosrovani mi ha detto una cosa stupenda: “Grazie per aver creato un festival umano”. Questa era la mia mission: creare una comunità umana che resiste. Restiamo umani!».
Nei progetti di Giovanna Taviani, oltre ad un’altra edizione del festival, un film di finzione su una grande donna del mito che rivive oggi.

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