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Papà Cecchettin e il dolore trasformato in impegno civile

Gino Cecchettin, sin da subito, nella lucidità maturata da altro, recente, dolore, per la morte della moglie, ha dimostrato di aver trovato il proprio antalgico nella volontà di spendersi pubblicamente per contribuire a cambiare quella cultura del possesso e dell’amore malato

Gino Cecchettin

I maligni avranno pensato all’ennesimo scoop di Fabio Fazio, utile per cavalcare gli ascolti. Per gli indignati di professione è stato un atto di narcisismo. Ma la presenza di Gino Cecchettin a Che tempo che fa, ci è apparsa come la modalità con la quale un padre ha sublimato un dolore perenne per la morte della figlia e lo ha trasformato in impegno civile, perché non debba accadere ad altre.
Perché se esistono analgesici utili per calmare molte sofferenze fisiche, di fronte a una perdita così devastante, ognuno è costretto a trovare un rimedio intimo e personale per sedare gli spasmi dello strazio che prova.
E Gino Cecchettin, sin da subito, nella lucidità maturata da altro, recente, dolore, per la morte della moglie, ha dimostrato di aver trovato il proprio antalgico nella volontà di spendersi pubblicamente per contribuire a cambiare quella cultura del possesso e dell’amore malato che si è trasformata nell’annientamento di Giulia a opera del ragazzo che pensava di amarla. Risaltava nell’intervista, la capacità di un padre nel canalizzare - in energia vitale - sentimenti che si pensano comuni nello stereotipo dell’immaginazione del dolore, ma che, evidentemente non appartengono a tutti.
Della vicenda di Giulia, in queste settimane, si sono impadroniti mass media in nome del diritto di cronaca, commenti popolari in virtù del pubblico sentimento, opinioni politiche a titolo istituzionale, ma criticare Giulio Cecchettin, per la sua determinazione di portare avanti, in nome della figlia, una battaglia che può essere utile a tutti, rappresenta la negazione della vera appartenenza del dolore e della possibilità di fare testimonianza di una esperienza che non è solo quella di padre ma anche di uomo. La sobrietà, la continenza, la semplicità con la quale il padre di Giulia ha voluto tracciare quello che sarà il suo percorso pubblico nato da una tragedia privata, raccontano anche di una elaborazione intima che lo ha portato non solo a ribaltare convenzioni e convinzioni, ma a confrontarsi con il suo essere maschile singolare, per trasformarlo in generale e plurale.

La forza della tragedia di Giulia, come sappiamo ha costretto le istituzioni a prendere coscienza della necessità di una formazione culturale che, purtroppo, la politica pensa di manovrare secondo il proprio orientamento. Così Valditara, in meno di 24 ore ha revocato le nomine che aveva appena pubblicizzato dei garanti per il progetto sull’educazione dell’affettività a scuola. Ecco, signor ministro, magari, se può, nelle sue scelte, lasci stare le pressioni politiche e guardi all’esperienza di chi ha sofferto.

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