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«Caracas» e la sua Napoli onirica. A colloquio con D'Amore e Servillo, stasera a Cosenza

L’incontro fra un giovane fascista e uno scrittore in crisi di creatività in una città magnetica e demoniaca: una grande prova di regia e recitazione

C’è un destino, spesso irreversibile, che lega in maniera definitiva un artista al suo personaggio. È una sorta di teorema assoluto che può applicarsi a tutte le forme d’arte, anche alla Settima. Lo sa bene Marco D’Amore, universalmente riconosciuto come il Ciro Di Marzio, l’Immortale, della serie tv «Gomorra». E così, il nostro tenta una fuga dal suo alter ego attoriale interpretando «Caracas», protagonista dell’omonima pellicola, tratta dal romanzo di Ermanno Rea «Napoli Ferrovia». Sceglie bene il travestimento per la sua evasione D’Amore, una maschera intensa e attuale, l’epopea di un giovane di ideologie destrorse che cerca la redenzione attraverso l’amore di Yasmina (Lina Camélia Lumbroso), il sentimento religioso e l’incontro con Giordano, uno scrittore (Toni Servillo) anch’egli alla ricerca di una luce nuova.
Intensi i personaggi, che gravitano sullo sfondo di una Napoli onirica e piena di insidie, resa demoniaca dalla forza magnetica del crimine. Intensi i piani narrativi che s’intrecciano e si confondono. Seppur partendo da presupposti e con fini diversi, Giordano e Caracas sembrano vittime predestinate dei loro stessi fantasmi. E anche lo spettatore, a un certo punto, arriva a chiedersi se Caracas sia reale oppure frutto della fantasia di Giordano che per esorcizzare le sue paure si è inventato una figura concreta per affrontarle a viso aperto.
Non sappiamo se Caracas, film e personaggio, possano allontanare D’Amore dal suo Ciro Di Marzio, di una cosa però siamo certi: il tentativo è molto ben costruito. Ne abbiamo parlato con Marco D’Amore e Toni Servillo…

Marco, hai raccontato una Napoli onirica, forgiata sul modello Sin City, dove è difficile, e allo stesso tempo affascinante, scorgere i confini tra sogno e realtà…

«Hai riassunto perfettamente il nostro intento. Assieme alla cronaca dell’esistenza, volevamo mischiare il processo onirico e creativo di uno scrittore alle prese con il proprio racconto. E facendo questo, i punti cardinali della vita, come il tempo e gli spazi in cui viviamo, a volte assumono contorni sbiaditi, distorti, perché sono figli di un processo mentale che sta molto più nella sfera dei sogni che in quella della realtà».

È una storia scritta e diretta di pancia, o almeno è quello che traspare dalla pellicola…

«Sì, soprattutto nella speranza di suscitare nel pubblico emozioni e sentimenti contrastanti. Mi piacerebbe poter dire che questo film tocca sì la pancia, i sentimenti sorgivi, le emozioni più forti, ma lascia anche riflettere, far battere il cuore. La grande ambizione di chi racconta una storia è quella di poter coinvolgere i sensi dello spettatore a 360 gradi».

Amori impossibili, ideologie imperscrutabili, nuovi sentimenti religiosi, fughe dalla realtà…

«È molto interessante perdersi nel viaggio dei personaggi del film. Noi mettiamo in scena l'esistenza agli estremi, quindi loro vivono le passioni con una forza incredibile, anche con fanatismo, così come si raccontano. E questo fanatismo è espresso nell'appartenenza politica, in questo afflato religioso, nel desiderio di scrivere, nell'amore. Spero sempre che gli spettatori riescano a completare il film, che è un percorso che non ha una fine».

L’animo fascista di Caracas, la ricerca della redenzione attraverso la conversione all’Islam. Quanta carne al fuoco…

«Prima di me l'ha messa Ermanno Rea, il meraviglioso autore che ci ha donato “Napoli Ferrovia” e non solo. Tra l'altro, un diario cronaca scritto vent'anni fa, con la lungimiranza di chi sa intercettare il futuro. Questi non sono mondi che raccontano estremismi, ma raccontano estremi a cui il personaggio si spinge per cercare una comunità, un luogo in cui essere accettato, un senso alla propria vita e al vuoto incolmabile che sente».

Non vogliamo la parabola dell’allievo D’Amore che si ritrova a dirigere il maestro Servillo… ma com’è stato?

«È stato molto complesso. Perché è complesso ogni volta che ti misuri con un gigante come Tony. Che esige tanto, non solo da me come regista ma da me come attore. Però, è stato un regalo della vita. Potermi ritrovare ancora con lui a ragionare di personaggi, a scambiarci opinioni, è stato un motivo ulteriore di crescita professionale sicuramente ma anche umana perché ci sono 25 anni di storia che ci legano. Ho debuttato nella sua compagnia a 18 anni e quindi ritengo che Toni sia l’esperienza più fondante e significativa della mia vita artistica».

E la stessa domanda, a parti capovolte, non potevamo non porla anche a Toni Servillo…

«Ci siamo invertiti di ruolo. Marco è cresciuto nella mia compagnia ed è molto emozionante che adesso sia lui a dirigermi – ha risposto l’attore napoletano, volto amatissimo del cinema italiano –. Tra l’altro, la pellicola usa linguaggi e tratta problemi della sua generazione. E anche per questo ho accolto con gioia la partecipazione a questo film».

Inoltre, Servillo si è soffermato pure su Ermanno Rea, «uno scrittore che era solito documentarsi sul campo, prima di creare luoghi e personaggi. Che ha definito “Napoli Ferrovia” come un libro inchiesta. Ed è affascinante come lo sviluppo della trama, poi, finisca in una dimensione onirica. Mi sono chiesto – ha detto Servillo – se Fonte e Caracas si siano davvero incontrati o se il giovane sia un personaggio creato dallo scrittore per il romanzo che non riesce a scrivere…».
Stasera alle 20, al cinema Citrigno di Cosenza è in programma una proiezione speciale di «Caracas». Al termine, saranno presenti Toni Servillo e Marco D’Amore che dialogheranno con il pubblico in sala. Unica tappa in Calabria, l’evento è stato organizzato e fortemente voluto da Giuseppe Citrigno, presidente dell’Anec Calabria.

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