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Se nel buio appare la «scintilla» che ci salva. L’ultimo libro di Nadia Terranova

Una delicata storia per ragazzi. Anzi, per la parte più viva e piena di fantasia di tutti noi

Passano, le scintille, nelle nostre vite. Quando non ce lo aspettiamo, magari, e venendo fuori da dove non pensiamo sia possibile. E la loro piccola luce magari rischiara un nostro momento buio. A volte i libri sono proprio piccole scintille che ci consolano e ci fanno sorridere: perché ogni libro, ogni buon libro, è una scintilla d’una catena di luce, un gesto di cura reciproco – a partire dal patto tra scrittore e lettore – , un piccolo atto amoroso che possiamo tenere con noi per sempre, come se fosse stato scritto apposta per noi (è uno dei superpoteri della scrittura, e gliene siamo grati). Tutto questo, e molto altro, sprizza con incontenibile grazia da «Scintilla» (Mondadori), l’ultimo romanzo della scrittrice messinese “strettese” Nadia Terranova.

Un romanzo “per ragazzi”, nel senso che sa rivolgersi alla parte più incantata e fertile della nostra immaginazione, qualunque età abbiamo: le magiche illustrazioni di Mariachiara Di Giorgio, artista pluripremiata, sono una narrazione nella narrazione, di cui espande la potenza fantastica, andando molto oltre una semplice “illustrazione del testo”. D’altronde, da sempre Terranova – in cinquina allo Strega 2019 con «Addio fantasmi» e il cui ultimo romanzo è «Trema la notte» (entrambi Einaudi), sul terremoto del 1908 sullo Stretto – è anche una formidabile autrice per ragazzi: «Il segreto» (Mondadori), illustrato da Mara Cerri, ha vinto nel 2022 il Premio Strega Ragazzi e Ragazze e il Premio Andersen, e il suo primo libro, «Bruno, il bambino che imparò a volare» (Orecchio Acerbo, 2012), è diventato un piccolo classico. E proprio ieri l’autrice ha tenuto a Firenze la sua Lectio come vincitrice del Premio Ceppo per l’infanzia e l’adolescenza. Il titolo? «I bambini vedono cose che gli altri non vedono». Appunto.

Nadia Terranova crede al potere indiscusso della narrazione, che è capace di modificare spazio e tempo, di trovare passaggi segreti tra le età, i mondi e le anime (come dice l’autrice, nella letteratura per ragazzi è solo tutto un poco più difficile, visto che è destinata a lettori molto esigenti...). Lo dimostra, una volta di più, la delicata storia della bambina Scintilla, strampalata creatura dai capelli rossi e dal viso di luna piena che, in un giorno un poco triste per il bambino siciliano Antonio, piove giù dal vecchio camino di casa. Siamo in una Sicilia antica e attuale, nella città immaginaria (ma sarebbe meglio dire immaginata) di Panormo, città dell’afa che opprime gli oleandri e gli orti, degli incendi che minacciano le case, del mare che brilla tra gli scogli: i luoghi (la spiaggia di Campacavallo, il bosco di Bottanuova), a partire dai nomi, sono tutti reali e trasfigurati assieme, riconoscibili e fantastici, nella cifra sognante eppure precisa della scrittura di Terranova.

La mamma di Antonio, Alice, è una specie di attivista che lotta per difendere la Natura minacciata dagli uomini, e infatti si oppone alla costruzione d’un orribile e inutile ponte che deturperebbe un luogo sacro (vi fa venire in mente qualcosa? spero di sì), e questo la porta in missione lontano dal figlio, che soffre la sua assenza: con delicatezza e sapienza, l’autrice mette a fuoco quel piccolo, grande dolore dell’assenza di chi amiamo, e dell’importanza, per la costruzione della nostra anima, dei modi che inventiamo per prenderci cura di noi e degli altri. Antonio si prenderà cura di quella strana bambina scintillante, e poi del buffo cane Acero, così come il padre si prende cura di lui, e gesti d’amore riparativo (cucinare, ridere assieme, condividere un bizzarro, intraducibile lessico familiare) tengono assieme la famiglia, a cui s’unisce per una vacanza la zia che somiglia a Liz Taylor e il quasi-cugino Anthony, un Antonio gallese che porta altre ferite, gli echi di altre assenze, e troverà anche lui scintille di quella cura che consola e ripara.

È una prosa inventiva e gioiosa, anche quando si occupa d’ombre, sostenuta da un grande amore per la parola, reinventata con la stessa gioia dei bambini che la scoprono. E così troviamo «carcarazze» e «vercingetorigi», «agapanti» e... «scintidduzze». Perché inventare è resistere al dolore e alla paura, e migliorare il mondo. Nadia Terranova, che s’occupi del cataclisma del 1908, d’una gatta nera che vive nei tempi bui della Santa Inquisizione o d’un bambino triste in un’infuocata estate panormita, reinventa sempre il lieto fine, costruendo sentimenti complessi e delicati, mostrando ai suoi personaggi le infinite vie d’uscita e di resistenza al dolore, l’infaticabilità dell’amore e della relazione come strumento principale d’ogni narrazione. D’ogni costruzione di futuro.

L’assenza, la ferita, la cura, d’altronde, sono temi importanti anche nei suoi romanzi “per adulti”. «Non vedeva l’ora che Alice tornasse, ma non voleva neppure che il nuovo equilibrio saltasse del tutto. In fondo era lei a essere andata via, e papà si era impegnato a costruire tutto un mondo intorno a quella voragine»: come era accaduto a Ida, la protagonista del bellissimo «Addio fantasmi». Costruire quei mondi sulle voragini è il nostro compito, e meglio se ci aiutano libri-scintilla come questo.

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