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Con Aiace muore l’ultimo eroe

Parla il regista (e protagonista) Luca Micheletti, che aprirà la stagione dell’Inda a Siracusa il 10. Una scenografia che sarà «come un’installazione», nel cast un «ponte» con le edizioni precedenti e l’eccezionale partitura di Giovanni Sollima

La follia di Aiace, la perdita del suo eroismo, l’incantesimo degli dei, il passaggio ad un mondo nuovo. L’«Aiace» di Sofocle, con la traduzione di Walter Lapini, aprirà il 10 maggio la 59esima stagione di rappresentazioni classiche della Fondazione Inda al teatro greco. Luca Micheletti è il regista e protagonista.

«Con la morte di Aiace per me muore l'intero mondo epico. Aiace possiamo dire che, quanto agli eroi di Troia, è l'ultimo eroe del mondo antico. Chi rimarrà, come Odisseo, è già un eroe del mondo nuovo. Sicuramente da lì in avanti ci si differenzia, rispetto ad un approccio con la realtà degli uomini e anche rispetto al rapporto con gli dei».

Lei è regista e si è riservato il ruolo del protagonista. Lo ha già fatto altre volte, ma per l’antica cavea è una novità.

«È un uso che ho spesso messo in pratica anche perché da regista comprendo meglio i miei lavori dall'interno e abitarli diventa un'occasione inestimabile laddove abbia un fondamento drammaturgico. In questo caso ce l'ha. Ed il ruolo di Aiace è particolarmente efficace per essere gestito in questo modo, perché è un protagonista molto speciale che muore a circa a metà tragedia. Quindi il suo apporto è fondamentale però poi sparisce dal palcoscenico e lascia al regista tutto l'agio di continuare il suo lavoro da fuori».

L'ultima messa in scena di Aiace è stata nel 2010 con regista Daniele Salvo che lei invece porta come attore e proprio in un ruolo principale che è quello di Odisseo. 

«Mi piaceva creare dei ponti con le edizioni precedenti. Oltre a Daniele, che firmava la regia nel 2010, abbiamo nel cast anche Edoardo Siravo che fu Menelao negli anni 80 con la regia di Antonio Calenda e che qui da noi passa a fare la parte del fratello maggiore quindi Agamennone. M’interessava che ci fosse questa sorta di legame con gli allestimenti pregressi, a creare un arco lungo di Aiace a Siracusa che si rispecchia in qualche modo anche nel cast. Mi sembra sia una delle possibilità che si possa respirare qui sul Temenite, che richiama energie speciali, una sorta di respiro epico in cui Sofocle va oltre gli interpreti. Proprio grazie agli interpreti si testimonia una continuità negli ultimi 50 anni come a un rito a cui si ritorna. Chissà che non mi tocchi tornare tra quarant'anni a fare un nuovo Aiace in un'altra veste...».

Lei si è misurato con tanti spazi, però il teatro Greco nasconde una magia particolare ma anche delle insidie.

«Io direi delle peculiarità: tutte le volte che ci si confronta con uno spazio che è nato in un mondo che per convenzione e usi si distanzia dal nostro di millenni, bisogna pensare che c'è una prassi da ricreare e quindi ogni spettacolo è diverso. Non si può pensare a far rivivere in maniera “filologica” il teatro antico perché significherebbe mettersi i mascheroni, ma non si può neanche pensare di essere in un normale teatro al chiuso. In questo senso mi è servita la mia esperienza su palcoscenici molto diversi, sia per genere, perché ho una lunga “tresca” con l’opera, sia perché ho competenza del funzionamento di palcoscenici molto anomali, come l'Arena di Verona. Ho cercato di creare un allestimento specifico, quindi non sarà una normale scenografia illustrativa ma avrà molto dell’installazione».

Cosa ci dobbiamo aspettare?

«Sto dando qualche qualche falsa pista in modo tale che ci sia un effetto sorpresa. C’è un riferimento al mondo dei giganti, al mondo dei titani, al mondo dei colossi caduti e Aiace stesso è uno di questi perché si parla di lui per tutta la tragedia di Sofocle come del più grande tra gli eroi achei. Naturalmente voglio intenderlo metaforicamente ma anche un po’ metafisicamente. Quando nella seconda parte della tragedia si parla di un dibattimento di fronte al corpo dell'eroe, prendiamo in parola questa espressione e ci trasferiamo letteralmente dentro il corpo dell’eroe. Ma Sofocle è rispettato alla lettera. Come recita il famoso circolo ermeneutico, non c'è interpretazione senza commento e non c'è commento senza interpretazione. Per commento intendo in questo caso una sorta di racconto intorno al testo originario. L'allestimento racconta una sorta di passaggio fra una civiltà arcaica e un mondo del dopo. D’altra parte questo mondo antico non è rappresentabile in maniera storicizzata per il semplice motivo che la guerra di Troia non è mai avvenuta. Quindi non c'è un'epoca storica in cui collocarla. Siamo nel mondo del mito e quando ha luogo il mito? La mia risposta è: dentro di noi. Come questo debba di fatto realizzarsi all'interno di un design specifico delle scene, dei costumi, credo che ricada nel regno dell'interpretazione più che non della storicizzazione della filologia».

Lei è un famoso baritono. Ha voluto che la musica di Giovanni Sollima fosse eseguita dal vivo.  

«La partitura di Sollima prevede sette strumenti. Ho voluto fortemente la presenza di questa grande firma della nostra composizione mondiale perché volevo portare una parte della mia storia a Siracusa ma anche perché, e lo ha detto qualcuno più importante di me, la nascita della tragedia ha a che fare con lo spirito della musica e quindi riportare la musica dal vivo sia in termini vocali che in termini strumentali in questa cavea mi sembrava urgente. Abbiamo un gruppo di esecutori eccellenti e abbiamo lavorato in stretto contatto con Sollima per far sì che la collocazione delle musiche fosse quantomai significante dal punto di vista drammaturgico e non una semplice musica di sottofondo».

Foto Centaro 

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