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L’ “esenzione” da Dante può soltanto impoverirci tutti

Cosa ne pensano scrittori e linguisti a proposito del recente caso di due studenti medi di fede musulmana esonerati dallo studio della Commedia a Treviso

«La Commedia è un libro che tutti dobbiamo leggere. Non farlo significa privarci del dono più grande che la letteratura può offrirci». Un dono, nelle parole di chi la recitava a memoria come Jorge Luis Borges, e «inesauribile incalcolabile inestinguibile» per Osip Mandel’štam (cui fu di conforto nel gulag), ma pure una sorta di grande pozzo dal quale tirar fuori qualcosa che riguarda ciascuno di noi umani, mentre consola e sferza, gratifica e punisce: un dono che può trasformarsi, anche sette secoli dopo la morte di Dante, in polemica. Come quella nata dalla scelta di un’insegnante di Treviso di esonerare due studenti di fede musulmana di una scuola media dallo studio della Commedia per non offendere la loro sensibilità religiosa. Ne abbiamo parlato con linguisti, scienziati, scrittori.

Edoardo Boncinelli (genetista)
«Lo studio di Dante non è totalmente riconducibile a un programma di studio di concezione cattolica: sarebbe come dichiarare che i matematici del Trecento avevano delle idee confuse sul concetto di parallelismo. Su un piano di libertà intellettuale e affettiva non si può confondere l’approfondimento di un aspetto culturale della visione cristiana del mondo con quello di un’adesione calda ed entusiasta rispetto alle differenti alternative che sono comunque visioni delle cose del mondo. Altrimenti addio libertà».

Paolo D’Achille (linguista)
«Credo che Dante sia non solo il padre della lingua italiana, ma che appartenga alla letteratura e alla civiltà universale. Conoscerlo costituisce dunque un arricchimento per ogni persona, a prescindere dalle idee religiose o politiche o dalla cultura di riferimento. Leggere Dante non significa poi credere in tutto quello che ha scritto: sono passati settecento anni dalla sua morte e il mondo e la visione del mondo sono da allora profondamente cambiati. Senza dire che, all’inferno Dante ci ha messo pure qualche papa!».

Valeria Della Valle (linguista)
«Una notizia rimbalzata mediaticamente che provoca tristezza e preoccupazione. Sempre più spesso assistiamo a fenomeni di cancellazione della cultura diversa da quella di appartenenza. Invece di allargare la conoscenza delle altre culture, ci si rinchiude nella propria, come se le idee diverse potessero far male. Tutto questo dispiace per vari motivi: i due studenti di fede islamica avranno un trattamento che li isolerà all’interno della classe, invece di integrarli. In più, sarà loro vietata una lettura che li arricchirebbe e resi partecipi della letteratura del paese in cui vivono e studiano. Letteratura che non è solo italiana, perché Dante come Shakespeare, come RabrindanathTagore, come Nagib Mahfuz, come Salman Rushdie, appartengono all’umanità, indipendentemente dalla lingua, dalla religione, dalle idee che esprimono nelle loro opere».

Paolo Di Paolo (scrittore)
«Di per sé un’opera d’arte creata sette secoli fa determina un attrito con chi è venuto al mondo molto tempo dopo, non c’entra il dato culturale specifico, la confessione religiosa, c’entra il fatto di essere vivi su questo pianeta sette secoli dopo. Un testo, come molte opere d’arte, porta un mondo di valori e di visioni e quindi di pregiudizi o di cristallizzazioni del senso, prospettive morali, che non possiamo accettare se dovessimo “ingerirle” da un punto di vista personale. Tutti possiamo sentirci in difficoltà anche solo di fronte alla tripartizione dell’aldilà (basta essere un minimo laici) in inferno, purgatorio, paradiso. Si potrebbe avere qualche turbamento anche leggendo Shakespeare e trovando punte di misoginia o di xenofobia, però noi leggiamo queste cose per rimodellare continuamente i parametri etico-estetici. Ma l’eccesso di suscettibilità o la necessità di sentirsi protetti da un’opera d’arte, in tal caso ineguagliabile, porta verso una serie di questioni: quanto siamo capaci di prendere una distanza tra la nostra idea di mondo, la nostra dimensione etica e quell’opera. Ecco, questo richiede un allenamento a cui contribuisce l’educatore. Da tutto ci si può difendere ma non dalle opere d’arte e questo purtroppo in un’epoca di grande suscettibilità sta diventando un problema. Con cui bisogna fare i conti senza nemmeno troppe sprezzature o alzate di spalle, il punto è non essere offesi da un’opera, ma saperla leggere: se rinunciamo a questo rinunciamo a un immenso patrimonio artistico».

Paolo Di Stefano (scrittore)
«Trovo in generale comico che si censuri un autore del passato perché non allineato alle nostre mentalità attuali. Contorsione mentale ridicola e spregio della storia. Oltre che dimostrazione di una malissimo intesa idea di “tolleranza” democratica, del tutto priva di dimensione e profondità culturale, anzi ottusamente appiattita al presente. Nella fattispecie, è noto che la rappresentazione di Maometto contenuta nella Commedia sta esattamente nel solco di una leggenda vulgata nel Trecento. Stessa cosa accade, ma in positivo, con il Saladino, trattato come un eroe magnanimo, stessa qualifica che Dante attribuisce ad Averroè. Oggi il rispetto per la cultura musulmana sarebbe esattamente l’opposto della censura: leggere e contestualizzare. Oltretutto, è noto (vedi gli studi di Maria Corti) quanto della cultura araba sia presente nella Commedia dantesca, piena anche di contraddizioni e per questo molto affascinante».

Fabio Rossi (linguista)
«La storicizzazione di ogni fenomeno (a partire da quelli artistico-letterari) è il requisito fondamentale della visione critica del mondo. Se è lodevole la sensibilità dell’insegnante di non voler mortificare in alcun modo gli studenti e le loro famiglie, è opportuno dimostrare che il valore di per sé inclusivo dell’arte costituisce un arricchimento, non un ostacolo: la vera discriminazione sarebbe proprio quella di condannare a una privazione culturale alcuni studenti mediante l’esclusione di Dante. Un buon servizio reso alla classe sarebbe stato invece dedicare lezioni e dibattiti all’importanza di distinguere, grazie alla storicizzazione, il punto di vista di autori e autrici del passato da quello presente e sottolineare l’importanza del rispetto reciproco e dell’interculturalità, anche mediante la presentazione di idee, autori e produzione artistico-letteraria rappresentativi del mondo islamico. E d’altra parte l’importanza di conoscere il testo capitale della nostra storia linguistico-letteraria non implica che lettori e lettrici di oggi debbano condividerne tutte le idee. La cancellazione del passato è sempre antidemocratica e violenta, all’opposto della valutazione critica di quello stesso passato messo a confronto col presente».

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