C'è un giovane di belle speranze che s'aggira per la Capitale con una fame di vita e di successo non comuni. Ha vinto una borsa di studio che gli consente di frequentare l'Accademia nazionale di arte drammatica di Silvio d'Amico, nel settore regia. Arriva dal profondo sud, dopo un lungo viaggio in treno e l'affannata accoglienza dei parenti che a Roma e nei dintorni già dimorano.
Ha gli occhi che luccicano di curiosità e di speranza della vita nuova che gli s'affaccia. Anche se le sue attenzioni saranno costantemente rivolte oltre lo Stretto, alla sua terra, alla sua famiglia di vecchi: in questo senso si può dire che la sua “crosta” di provinciale (senza l'accezione negativa di cui la parola s'è caricata) non gli cadrà mai di dosso.
Il ragazzo che sogna di fare il regista si chiama Andrea Camilleri e arriva da Porto Empedocle, provincia di Girgenti, dove ha già fatto i suoi latinucci e come messaggi in bottiglia ha già inviato le sue prime poesie alle riviste più rinomate della Penisola. Sono anni eroici, anni di Dopoguerra. Quello che sarebbe diventato il celeberrimo inventore del Commissario Montalbano, parte con una valigia carica di sogni e di qualche vestito. Pochi i soldi che una famiglia accudente e apprensiva non gli farà mancare, benché non navighi nell'oro.
Questi e moltissimi altri dettagli sono contenuti in un libro che la casa editrice Sellerio manda domani nelle librerie e che si intitola Vi scriverò ancora, un ricchissimo epistolario “domestico” che va dal 1949 al 1960. Camilleri scriveva al padre Giuseppe, ma soprattutto alla madre, Carmelina Fragapane, circostanza che crea qualche fraintendimento col genitore che si sente trascurato.
Infatti, in una nota del 26 maggio del 1950 Andrea è costretto a rimbrottarlo affettuosamente: «Caro papà, la tua lettera mi ha fatto dispiacere per gli indiretti rimproveri che contiene. È raro che abbia iniziato una lettera rivolgendomi solo ed esclusivamente alla mamma. Quando vi ho scritto, siete stati ambedue presenti nel mio pensiero. Ed è ingiusto, lascia che te lo dica, l'appunto che hai voluto muovermi».
Insomma, ci sono le ansie, i turbamenti, i resoconti, i fallimenti, i successi, le sconfitte, le malinconie e le apprensioni di un figlio che ha, si capisce, i nervi a fior di pelle, un po' per la lontananza, un po' perché teme per la salute dei suoi, un po’ perché, come un giovane animale nel bosco, cerca di sopravvivere in un contesto naturalmente difficile quando si è soli.
Le missive che si susseguono sono il diario familiare che diventa «giornale», cioè informazione in presa diretta e in continuo di tutto ciò che gli accade, anche il banale acquisto di un paio di pantaloni, un'arrabbiatura, un'amarezza, un cambio di casa, un incontro inaspettato. Oppure la cronaca di un viaggio scomodo: «Sulla littorina fino a Messina sono stati in compagnia di tre bambini che rivelavano piccoli istinti di delinquenti…».
Questa raccolta di lettere (a cura di Salvatore Silvano Nigro, con la collaborazione delle figlie di Camilleri: Andreina, Elisabetta e Mariolina) offre uno spaccato autentico, genuino, a volte commosso della sua vita; svela un lato più intimo e personale di un narratore non ancora formato pienamente, ma già pieno di talento. Scorrono coi giorni le difficoltà economiche, i bivi professionali, l’ambiente teatrale, il rapporto speciale con Orazio Costa e quello più complesso con Silvio d’Amico.
Camilleri ci accompagna nel suo percorso di formazione, dai primi passi nel mondo del teatro alle prime esperienze letterarie e ci racconta, con un linguaggio semplice e diretto, delle sue passioni, delle sue amicizie, delle sue delusioni. E poi, come gemme disseminate qua e là, incontri e amicizie straordinari: Gassmann, Rossellini, Sartre, Genet.
Caricamento commenti
Commenta la notizia