Due vite ferite possono risanarsi, almeno un poco, assieme? Esistono reti di piccole-enormi solidarietà, di gesti di cura, di affetti trasversali imprevedibili e salvifiche? Le possiamo trovare, soprattutto riusciamo a vederle? A queste domande risponde, col tocco delicato e doloroso della letteratura, il bel romanzo d’esordio di Rita Ragonese, «La vita contro», pubblicato da Fazi.
Le vite ferite sono quelle, diversissime, della giovane Angela e del vecchio Umberto.
Lei è appena uscita dal carcere, separata dal suo bambino Martin, cacciata via da una famiglia su cui regna, dispotico, il padre, severissimo diacono dal cuore di pietra vittima di un’idea della religione punitiva, e di fatto abbandonata dalla famiglia del compagno-ragazzo, altro impero di maschilismo, dove si praticano lo sfruttamento e il malaffare; lui s’è macchiato, molti anni prima, d’una colpa che lo ha allontanato dalla sua adorata famiglia, e da tutto il resto del mondo.
Vivono ai margini, Angela con l’energia tumultuosa d’una gioventù mortificata, lottando disperatamente per tornare a galla, accettando di malagrazia l’aiuto, e il controllo, dei servizi sociali; Umberto serrato dentro una solitudine costruita con doloroso accanimento e impastata con l’alcol.
Lo scenario è una sorprendente Venezia vista dall’altro lato: non i merletti sull’acqua ma croste di cemento appoggiate sul grigio; non le cupole ma le ciminiere. E le piccole vite di cui i turisti non sapranno mai (ma tanto anche loro, poveracci, «malgrado gli sforzi non toccheranno mai l’anima di Venezia»…). Una città amata, percorsa nelle sua ombra umida con sguardo amoroso: l’autrice è figlia di siciliani, che la vita ha portato molto lontano, e ora vive in Veneto, e ha deciso di scegliere il luogo più ardimentoso per la storia che ci racconta, in un altrove lontanissimo dallo splendore internazionale di Venezia. Ma l’altrove è il luogo per definizione di Angela («Le sembra tutto carcere, adesso: tutti luoghi, i suoi, accomunati da qualcosa di deprivante»), di Umberto («Il suo posto è fuori. Dal mondo, dalle cose della vita»).
L’altrove è anche il luogo, arduo, laterale, in cui Ragonese costruisce la sua voce, facendo parlare i gesti, dando vita ai pensieri dei suoi personaggi, e dei piccoli mondi che li circondano – la casa di comunità, il supermercato dove Angela e Umberto si trovano a lavorare assieme, la trattoria di periferia – senza mai sovrapporsi, con un autentico dono per la visione, acutissima, dei dettagli, e per poche metafore di grande forza sulla pagina, che ci restituiscono appieno quell’abitare l’assenza e quella «gramigna che fa parte della convivenza», quella ricerca di vita che finisce per contagiare anche chi alla vita sembra aver rinunciato.
Bellissimo, tra gli altri, il personaggio del Bressanello, prete insegnante, estroso e bizzarro, perfetto contraltare del Pater di Angela: la sua religione è accoglienza, calore, invito a «esserci, nelle cose». Ma sono molti i personaggi in cui brilla quella favilla d’umanità capace di farsi rete, e di salvare: Grace, la compagna di stanza di Angela; Franco, collega macellaio di Umberto; gli straordinari osti, Oreste e Giusi, che letteralmente nutrono Umberto, con vassoi di pietanze calde ogni sera e con una presenza umana che per molto tempo resta il suo unico, ultimo ancoraggio, e che poi accoglieranno anche Angela.
Ma ci sono altre storie di riscatto, di fede nell’umano, di bellezza, senza che sia un romanzo consolatorio, semmai un romanzo che a ogni pagina, con uno stile acuminato ma pieno di pietas, ci ricorda il dolore e lo stallo di certe vite, quella «gramigna» inevitabile, e il tormento che può stare dentro quel congegno che chiamiamo famiglia.
La vita può essere contro, spesso lo è, e allora tocca a noi. Anche raccontarlo fa parte della lotta.
Rita Ragonese incontrerà i lettori nella “sua” Sicilia: sarà domani a Messina, alla libreria Feltrinelli (ore 18), e il 3 dicembre a Palermo, alla libreria Feltrinelli (ore 18), con Claudia Lanteri.
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