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Siamo proprio sicuri di essere felici e contenti con le «Maledette feste»?

La quarantenne Agata riflette sul senso profondo delle ricorrenze. Ma...

Ma perché le feste di Natale? Se lo chiedevano Virginia Woolf («La signora Dalloway») e Natalia Ginzburg («Magico Natale») con il dubbio se fossero «fosche e faticose» per tutti e non solo per la vecchiaia, e se lo chiede in uno spiritoso romanzo, «Maledette feste» (Fazi Editore), Isabella Pedicini, saggista e scrittrice di Benevento, storica dell’arte e autrice di testi sulla fotografia e sull’arte contemporanea, che riporta in esergo i pensieri delle due grandi scrittrici, riflettendo con taglio sociologico e attraverso colti rimandi sulla essenza del Natale e in generale sul «gorgo perfido delle feste».

Possibile, si chiede Agata – quarantenne voce narrante del romanzo, un lavoro in un museo di arte contemporanea, residente a Napoli da quando, diciottenne, ha lasciato il paesino dell’Irpinia dove è nata – che la “legge” implacabile dei festeggiamenti ad ogni costo trasformi il Natale in un appuntamento ineluttabile?
Agata ha un marito francese che con le festività ha un rapporto pacificato (anche perché è nato il 25 dicembre) e ha due bimbi grazie ai quali il Natale ha assunto una nuova complessità. Perché si rovescia il ruolo di figli in quello di genitori e come tali si è obbligati a recitare di anno in anno «questa pièce teatrale che si replica»: il presepe, l’albero, Babbo Natale (con la sua notissima iconografia creata dall’illustratore statunitense per la Coca Cola…) e i doni.
Impossibile sottrarvisi, se sin da Halloween, «che incombe già dalla prima settimana di ottobre, a ridosso della festa dei nonni», una fornita cartoleria di Napoli trabocca di oggetti legati a “dolcetto o scherzetto”, per esplodere subito dopo con tutto un corredo di lucine e Babbi Natale di ogni dimensione, insieme a un mondo di decorazioni.

«Il Natale è una festa per bambini», così si dice, ma la verità è che – credenti o no – invece di riflettere sul senso profondo della ricorrenza in tempi di dolore per tutto il pianeta, in Occidente, forse per un meccanismo di autodifesa, dice la Pedicini, il Natale si trasforma in «una smania collettiva, in una generale isteria, in una litigiosità subdola, a tratti violenta, ma soprattutto angosciante».

Agata e Bernard lo sanno bene, ma non riescono a sottrarsi ai soliti riti, si dividono tra i genitori di lui e quelli di lei, ma stavolta la mamma di Agata ha organizzato una festa in grande stile invitando parenti lontani provenienti da ogni parte d’Italia. Impossibile non esserci e così la famigliola viene accolta nella casa di famiglia in Irpinia minuziosamente addobbata. Tutto stupefacente, mentre Agata insieme alla neve ritrova la sua cameretta e la sé stessa di prima, cosa che mitiga il pensiero del cenone della vigilia imminente (con vongole e capitone e varie gastromanie natalizie), dei regali e degli ospiti.

Avviene però un imprevisto («ma anche l’inatteso è parte stessa della sostanza delle feste») e toccherà ad Agata organizzare tutto, dalla lussuosa declinazione della cena alla gestione degli ospiti. Fino alla prossima festa, e poi tutto può diventare racconto.

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