
“Ferramonti, una storia parallela”: una mostra e uno spettacolo (emozionante) per ricordare la vicenda, decisamente speciale, di quello che è stato l’unico campo di concentramento italiano davvero funzionante, a Tarsia, in provincia di Cosenza.
Un progetto della pianista Laura Vergallo Levi (coadiuvata per la mostra da Paolo Guido Bassi e per i testi da Sofia Weck, in scena insieme con gli altri musicisti Claudio Giacomazzi, Francesco Vittorio Grigolo), partito dal teatro Menotti e che per la parte espositiva girerà varie scuole di Milano, a cominciare dal liceo Parini.
Una vicenda speciale perché Ferramonti, nonostante l’assurdità vergognosa delle leggi razziali, fu una storia di tolleranza (grazie al direttore Paolo Salvatore e ai suoi successori, e al maresciallo calabrese Gaetano Marrari) e di amicizia, anzi di fraternità, con la popolazione locale, che per questo può essere definita “parallela”.
Era inizialmente riservato agli ebrei non italiani che erano stati attirati nella Penisola, quando l’Italia sembrava avere ancora un atteggiamento non persecutorio. In quelle costruzioni in legno dal 1940 fu creata una sorta di democrazia assembleare, dove spiccava la presenza di medici, che curavano gli abitanti della zona, e di musicisti di assoluto valore, tra cui il trombettista Oscar Klein, il direttore d’orchestra Lav Mircki, i pianisti Sigbert Steinfeld e Kurt Sonnenfeld, il cantante Paolo Gorin. Pur privati della libertà fisica, esercitarono quella dell’arte e a Ferramonti si organizzavano spettacoli, chiamati “Serate colorate”, di cui, fra classica e jazz, è rimasta una scatola di spartiti manoscritti.
«A partire da una ricerca storica di questi eventi – spiega Laura Vergallo Levi - abbiamo proposto in teatro un “racconto musicale” che potesse stimolare riflessioni, mettendo in luce i vari aspetti che il materiale arrivato sino a noi testimonia: le composizioni, le atmosfere, le scelte musicali e i relativi programmi, le parole e le emozioni dei diari, la vita quotidiana degli internati». Lo spettacolo, in un teatro Menotti sold out, ha suscitato emozioni intense, cresciute ancor di più grazie alla testimonianza diretta di Ruth Foà, che a Ferramonti fu internata da bambina.
La mostra racconta la storia del campo di concentramento in Calabria attraverso 14 pannelli corredati da documenti e foto, in parte inedite, che riescono a rimandare un’immagine nitida della vita nel campo, basata anche su assemblee che davano un ruolo alle varie provenienze geografiche e anche agli internati non ebrei.
«Pur sottoposti a una condizione di vita precaria, i prigionieri di Ferramonti – aggiunge Vergallo Levi -, grazie a un regime di detenzione decoroso, sono riusciti a fare cose impossibili da immaginare in altri contesti similari. Per esempio, hanno potuto gestire una scuola, organizzare concerti, curare i cittadini dei paesi vicini, giocare a calcio e allestire sinagoghe». Un esempio di generosa umanità che oggi dovrebbe essere seguito laddove si continua inutilmente a sparare.

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