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Bankitalia, Tria in campo: "L'indipendenza va difesa". Alta tensione con Di Maio e Salvini

Giovanni Tria

L’indipendenza di Via Nazionale «va difesa». Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, finora rimasto ufficialmente silente nell’affaire Bankitalia, esce allo scoperto dopo due giorni di polemiche sui vertici della banca centrale ed esplicita con poche parole, «ovvie e persino banali», la sua posizione. Una posizione che viene interpretata immediatamente come di aperta opposizione a quella dei due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ma che il ministro, per evitare nuove spaccature nel governo, tramite la sua portavoce definisce di difesa, quasi scontata, delle istituzioni del Paese e, soprattutto, contraria a nessuno.

Eppure le distanze tra il titolare del Tesoro e il leader di Lega e Movimento 5 Stelle ci sono tutte. Dopo i toni roventi utilizzati contro le Autorità indipendenti (la Consob non ne è rimasta esente) di fronte agli ex soci della Popolare di Vicenza, Salvini e Di Maio hanno ribadito ancora, per una volta compatti, la loro convinzione: serve discontinuità. «Ora che noi come governo veniamo consultati per procedura costituzionale nella nomina del direttorio, se ci chiedono un parere sul rinnovo io dico no», ha insistito il ministro del Lavoro, a cui ha dato manforte il titolare del Viminale: «Provare a guardare avanti mi sembra il minimo. Chi è pagato per vigilare e non vigila deve cambiare».

Anche se l’indipendenza della Banca d’Italia, così come di tutte le banche centrali, è di fatto blindata dagli accordi europei, i vicepremier vogliono insomma dire la loro. Non come forma di ingerenza, ha tenuto a precisare il ministro della P.a. leghista Giulia Bongiorno, ma «solo» come volontà di sottolineare «la necessità di cambiare rotta». Nonostante il silenzio di Giuseppe Conte, il susseguirsi di dichiarazioni non è passato inosservato alle opposizioni. Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia, parla di «un...Tria-ngolo ottusangolo» frutto delle «geometrie di sgoverno».

Secondo il candidato alle primarie Pd, Roberto Giachetti, invece, Di Maio e Salvini «contestati a Vicenza sul problema delle banche, anziché dare risposte, attaccano». Sullo sfondo, anche se mediaticamente meno potente, rimane infatti proprio il problema del rimborso dei risparmiatori colpiti dalle crisi bancarie. Nella manovra è stato istituito un Fondo per i ristori per cui sono stati stanziati 1,5 miliardi in tre anni. Ma nel passare dalle parole ai fatti le cose sembrano essere più complicate del previsto.

Con un ritardo di già 10 giorni rispetto alla scadenza di fine gennaio, il Mef starebbe  ancora lavorando ai previsti decreti attuativi, sui quali incombe però la consapevolezza dello stesso governo (o almeno di alcune parti) di aver fatto il passo più lungo della gamba rispetto alle regole europee. Bruxelles ha sollevato dubbi non solo sull'ampliamento agli azionisti della platea beneficiaria dei ristori, ma anche sull'abolizione del ricorso all’arbitro finanziario, finora utilizzato come 'filtro' per distinguere gli aventi diritto o meno al rimborso. Perplessità che hanno ben presente gli stessi risparmiatori che temono ora l’avvio di una procedura di infrazione e il congelamento del Fondo, se non addirittura il ripristino delle procedure di esame 'caso per casò davanti all’arbitro.

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