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Poste Italiane, il Governo dice sì alle regole per la cessione di quote ai privati

L’idea al vaglio dei soci pubblici (Mef e Cdp) sarebbe quella di diluire la quota di entrambi mantenendo comunque la maggioranza assoluta del 51% in vista della presentazione del Piano industriale

Al via l’iter per una ulteriore privatizzazione di Poste. Il governo ha varato oggi in consiglio dei ministri un decreto del presidente del consiglio (Dpcm) per cedere una quota della partecipazione del Tesoro. Si tratta del calcio d’inizio di un processo di cui ora andranno definiti tutti i dettagli: ma una cosa è certa, all’esito dell’operazione lo Stato manterrà il controllo della società. La mossa arriva a sorpresa in serata, nel comunicato di Palazzo Chigi sul consiglio dei ministri svoltosi in mattinata. Poche righe sotto il titolo "Partecipazioni statali": «Il consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, un provvedimento che regolamenta l’alienazione di una quota della partecipazione detenuta dal Ministero dell’economia e delle finanze nel capitale di Poste Italiane, tale da mantenere una partecipazione dello Stato, anche indiretta, che assicuri il controllo pubblico. Le modalità di alienazione tenderanno anche a favorire la tutela dell’azionariato diffuso e la stabilità dell’assetto proprietario».

Il Dpcm, che avvia la procedura di vendita, sulla falsariga della precedente privatizzazione del 2015, dovrebbe intanto fissare la quota pubblica sotto la quale non si scenderà. Il provvedimento ora dovrà passare al vaglio delle commissioni competenti del Parlamento per il parere prima dell’ok definitivo. Attualmente lo Stato controlla complessivamente circa il 65% della società, di cui il 29,26% direttamente con il Mef e il 35% indirettamente attraverso Cassa depositi e prestiti. La linea, secondo le indicazioni di Chigi, sembrerebbe quella di vendere una parte della quota del Tesoro, garantendo tuttavia che la partecipazione dello Stato, anche indiretta, consenta di mantenere il «controllo» pubblico. Un’indicazione ribadita proprio ieri dalla stessa premier Giorgia Meloni, che ha parlato di «piano di razionalizzazione delle partecipazioni dello Stato», non solo per fare cassa, ma come «strumento di politica industriale», riducendo la presenza pubblica «laddove non è necessaria» e affermandola invece «dove è necessaria, come negli asset strategici».

Il piano di privatizzazioni fissato dal governo nella Nadef indica l’obiettivo dell’1% del Pil, pari a circa 20 miliardi, nel triennio 2024-2026. Un piano ambizioso ma a portata di mano, assicura la premier. Tra le partecipazioni nel mirino, dopo Mps e Ita, si guarderebbe anche a Fs e all’Eni. Poste è già stata oggetto di una prima tranche di privatizzazione nel 2015, quando era al governo Matteo Renzi: l’allora ministro dell’economia Piercarlo Padoan aveva messo sul mercato circa il 35% della società incassando circa 3 miliardi.

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