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L’inquietante solitudine degli strani numeri gialloverdi

Luigi Di Maio e Matteo Salvini

Siamo diventati fighi, in questo 2018, noi italiani. Stufi di lacci e lacciuoli, abbiamo stabilito che noi – se pure la “realtà” è ormai porosa e quindi globale – faremo d’ora in poi come ci pare. Nessuna sostanziale mediazione con l’Europa, con l’Occidente d’oltreAtlantico, con le potenze estremorientali, con l’Africa subsahariana, con l’Islam moderato, con nessuno.

Nessuna austerity – ricordano i meno giovani, abituati ai sacrifici, le domeniche a piedi e le targhe alterne per via del prezzo del petrolio? –. Adesso mai targhe alterne, mai giorni alterni: anzi ogni giorno da vivere all’insegna dell’azzardo, messa in naftalina persino ogni parvenza di rigore (anche il vocabolo va bandito).

Noi ci indebiteremo e di più e di più, per risorgere – poi – più giovani e belli, con la ripresa che galopperà, e l’export che gonfierà le nostre casse, e una crescita da sballo, meglio... dell’Islanda, un boom senza fine che lascerà di stucco gli economisti di striminzita immaginazione, e i gufi franco-tedeschi, e i banchieri – che sono tutti cattivissimi –, e i poteri forti, medio-forti, e tutti, tutti ancora – perfino noi stessi rimarremo di stucco –.

Ora che siamo fighi e illuminati, possiamo fregarcene del Fondo monetario internazionale – da Washington ci hanno detto, senza alcun pudore, che le nostre previsioni sul Pil sono «troppo ottimistiche» e stiamo imbarcandoci in una catastrofe annunciata –, possiamo ignorare Bankitalia – maledetti, loro e gli stramaledetti numeri! –, infischiarcene dell’Ufficio parlamentare di Bilancio – non è un’authority indipendente, sono piddini marci, schifosi! –.

E possiamo non curarci della Corte dei Conti che parla male di noi perché non vuole il condono fiscale. Chissenefrega di chi è stato onesto finora? A noi interessano gli onesti che ci daranno una mano in queste drammatiche decisive ore.

Possiamo snobbare l’Istat, Confindustria e anche quelle malelingue della Cgil a cui il nostro sapiente Documento di economia e finanza non è piaciuto. E ci importa ancor di meno delle agenzie di rating, killer a comando che stavolta non ci crocifiggeranno.

Sicché... l’allerta meteo lanciata (ieri) da “Fitch” non cambierà i nostri piani. Noi, nel 2019, terremo il deficit al 2,4%. La manovra sarà un botto: 36,7 miliardi. È roba da andare sulla luna. L’impatto sul Pil sarà un gioco d’artificio: +0,6%. Per la flat tax un miliardo e settecentomila euro in tre anni. Tutto ciò favorirà investimenti a gogò: tra la montagna di soldi “grattata” all’Agenzia delle Entrate e i 780 euro del reddito di cittadinanza si farà a gomitate davanti ai negozi per fare shopping e le aziende potranno permettersi assunzioni a grappolo.

Altro che Jobs Act, vuoi mettere con la riforma della legge Fornero? E chissenefrega del patto generazionale? Di garantire la pensione anche in futuro? “Qui e ora” è il motto, carpe diem. E se ogni cosa dovesse andar male, o maluccio – chissà... –, noi cercheremo l’aiuto degli italiani. L’ha fatto Benito Mussolini (rammentate l’«oro alla patria»?), lo potremmo chiedere pure noi. Fuori qualche risparmiuccio, se giova alla causa. A “mantenere” le esose promesse elettorali.

Capperi, noi non siamo la Grecia. Se Bernardeschi, come Allegri ha ricordato all’emisfero boreale, non è più della Fiorentina, così noi siamo – ormai – l’Italia gialloverde. Noi i neri li facciamo più neri e i meno bianchi di noi li sbianchiamo fino a dar loro un presente degno di quel che siamo: strafighi italiani sovranisti e liberi mai come adesso.

Liberi di soffocare, neanche tanto lentamente, da soli. Giocatori megalomani, improvvisati e maldestri, dalla coscienza corta.

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