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All'Europa sovrana serve una svolta

Un provocatore per Dna, il “reazionario” Houellebecq. Riempie i suoi romanzi di mine antiuomo, e poi aspetta paziente il botto, l'esplosione che squarcerà i silenzi ipocriti su cui poggia quest'Occidente sempre più brutto, curioso - anche l'Houellebecq di “Serotonina”, il suo ultimo libro - di vedere l'effetto che fa. Il proposito è quello di spiazzarci continuamente, lasciarci nudi innanzi alla miseria che è nell'essere umani e nel dovere, inevitabilmente e comunque con parecchi danni “collaterali”, smettere di qui a non molto.

In fondo, è sempre un “di qui a non molto”: la nostra vita è costellata di perdite, piccole e enormi, trascurabili e devastanti, improvvise e graduali. Un viaggio di sola andata, scandito dall'invecchiamento, verso la sparizione. Sullo sfondo c'è il mondo, quell'altro da noi che il più delle volte peggiora le cose: e il mondo di Michel Houellebecq, che è il nostro, idolatra su tutto il libero scambio, se ne frega delle risorse nazionali in nome di politiche liberiste sempre più ciniche, dimentica le origini.

Ecco, soffermiamoci sullo “sfondo”: sulle inquietudini e sulla rabbia preconizzate, ormai da anni, dallo scrittore francese - sì, vive nel Paese di Marine Le Pen - e furbamente intercettate dai sovranisti, soffermiamoci sulla palese inadeguatezza della vecchia Europa, sulla sua architettura ormai datata, sulle lentezze croniche che la contraddistinguono, su quanto - vista da lontano - appaia pletorica e goffa. Urge, è fuor di dubbio, un cambio di passo: l'Unione gestita per anni, assieme o da soli, da popolari e socialisti non rispecchia più in alcun modo i cittadini e le loro aspettative. Per questo succede, e non potrebbe essere altrimenti, che mai all'Europa riesca di pensarsi unita: postura che ci penalizza, che fa andare la gran parte di noi alle elezioni comunitarie come fossero ogni volta un “referendum” sulla bontà di questo o quest'altro governo nazionale. Troppo spudoratamente frammentata, l'Europa, e ciò rischia di lasciarla per sempre indietro - nelle grandi sfide globali - rispetto, ad esempio, alla Cina e agli Usa.

La strada per una rifondazione, però, non sta - è nostra opinione, non sappiamo cosa ne pensi Houellebecq - nelle ricette populiste e “patriottiche”. Che troppo spesso si rivelano - sul piano economico - impraticabili (quindi pura demagogia), e sono poco empatiche sul piano... umano (tutto si fonda sulla creazione d'un nemico, sull'enfatizzazione della lotta e sui miti “positivi” che ne conseguono, quindi pura propaganda, oggi affidata perlopiù ai social).

La strada per un rilancio dell'Ue passa, al contrario, per la lingua dell'aggregazione e della solidarietà: e quest'ultima parola potrebbe, anche, cominciare a significare minore austerity. Insomma, piaccia o no, domenica scorsa si è chiusa ufficialmente l'era Merkel; i sovranisti, a Strasburgo, non peseranno sul prossimo quinquennio ma è bene che si capisca che agli schieramenti tradizionali è richiesta una svolta. S'impongono responsabilità e un'integrazione vera: l'unione politica si realizza anzitutto - basteranno due “esempi” - con patti di stabilità appena più flessibili e una gestione dei flussi migratori appena meno rigida. Minimo comune denominatore: il sentirsi parte di una casa unica.

Di questo, pensiamo, devono farsi carico tanto le forze riformiste che quelle più legate alle radici cristiane. E occorrerà partire da serie e condivise politiche per il lavoro, nel rispetto della dignità d'ogni eguale nell'Europa sovrana.

Quanto all'Italia, basta leggere i risultati del voto: è un selfie ben riuscito. Anche quello, con Di Maio superstar, delle Politiche di marzo 2018 lo era. E anche quello del trionfo di Renzi alle Europee nel 2014. E anche quello della godereccia Italia berlusconiana. Da decenni abbiamo il vizio - è innegabile - di puntare tutto su un Uomo della Provvidenza. “Lui” cambia, di volta in volta: noi ci andiamo di pancia e diamo credito al nuovo “salvatore”, attratti da una suggestione, da una chimera, da un doppiopetto o da una parlantina spregiudicata che snocciola promesse come noi le olive. Conquistati da una divisa, o da un rosario. Siamo fatti così.

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