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Nemici invisibili e tipi italiani di quest’inizio millennio

Quando è mascherato, il male, ben più ci terrorizza dei mali dichiarati che di tanto in tanto piombano sulla nostra vita con viso perfido ma aperto, ostili e senza alcuna remora a mostrarsi per quel che sono: roba, così oggi si dice, che vuol nuocerci e potrebbe riuscire nell’impresa.

Male, quest’ultimo, che almeno – però – riconosciamo. Soprattutto appartiene, questo male, al nostro destino individuale, che si tratti d’un tumore o di due feroci rapinatori. Il male, quando invece è occultato e vaporante, quando s’insinua tra le pieghe di casa, del corpo e del cuore, latente e subdolo, innocuo in apparenza ma poi – persino – letale, aggiunge un di più di paura alla nostra ansia di essere prima o poi traditi dalla vita.

Parla, questo male, il linguaggio dell’ignoto, ci precipita in una dimensione inconcepibile: niente ha più contorni certi, tutto s’offre in declinazioni avverse, nessun terreno è sicuro, nessuna cella. Ecco che il mondo è più freddo e mai l’avremmo immaginato così inospitale. E se ciò capita non a noi soli ma siamo dentro a uno sfavorevole destino collettivo, se vittime – tutti – d’una congiuntura contraria, catapultati in un“ingranaggio” da cui potremmo uscir morti, peggio di peggio allora, rischiamo di ritrovar la psiche in poltiglia.

Perché il male, questo male mascherato, s’annida ovunque – così percepiamo –, e potrebbe sfruttare la nostra mossa sbagliata, il movimento incauto, “guai a sottovalutarlo”.

È il destino di noi occidentali di quest’inizio del Terzo millennio: avere nemici “invisibili”. Il terrorismo, i virus misteriosi, reali o... sul web. Periodicamente spunta qualcosa che attenta, vieppiù con false sembianze, alla nostra tranquillità di moltitudine che non combatte guerre, che non ha particolari problemi d’acqua potabile e cibo, che soffre sì la crisi economica ma ancora può permettersi, quantomeno in numeri da non disprezzare, una realistica simulazione del “benessere”. Ebbene, questa “ingerenza” appare inaccettabile, specie ai più viziatelli tra noi, tutti casa e consumismo, e anime consumate.

Innanzi al coronavirus nemico invisibile, restringendo il campo entro le nostre mura, stanno emergendo soprattutto tre tipi italiani, che sono in fondo altrettante “maschere”: gli apocalittici, i fatalisti, i minimizzatori.

Non c’è chi ha ragione e chi ha torto, ma val la pena osservare come ogni eccesso tradisca quasi sempre insicurezza e, interfaccia, vulnerabilità: dal flaconcino confiscato in aeroporto a una ultraottantenne sospetta terrorista alle casse di amuchina comprate e stipate in una casa-bunker che si prepara a resistere al coronavirus.

Ma è eccesso anche muoversi a caso e affidarsi all’indulgenza d’un dio o di Dio, poiché il fato – si sa – fa comunque quel che gli pare e allora è inutile “difendersi”. Ed è eccesso, anche, negare l’obiettiva insidia, derubricando il tutto a “semplice influenza” e a demenziale psicosi. Stenta a imporsi il quarto tipo: la persona razionale che si conserva moderata innanzi all’emergenza.

Dovremmo interrogarci, in questa scura stagione, sul nostro rapporto con la morte. Con la sua possibilità, con la sua presenza che non può essere riattualizzata solo quando la vita viene messa in discussione, quando le lusinghe del rimosso diventano insufficienti. Non può e non dev’essere un tabù l’idea che in un qualche istante la morte arriverà, comunque.

Se addestrati a questo, più in grado saremo d’amministrare il nostro rapporto con noi stessi, e la specie cui apparteniamo, e la Terra che abitiamo. Lei, che se non ne avremo cura, potrebbe trasformarsi – davanti agli occhi dei nostri figli – nel “nemico” più visibile di tutti.

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