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L’importanza dei libri, oltre la ragioneria delle vendite

Finalmente, ha pensato un gruppo di italiani. Almeno cinque milioni di italiani. Quelli che si ostinano a essere “lettori forti” (leggono più di un libro al mese e reggono pressoché da soli l’industria editoriale), a remare in direzione ostinata e contraria, e a considerare i libri la cosa più preziosa che possa capitare sulla strada di un’intelligenza.

«Finalmente», hanno pensato quelli che certo non hanno smesso di leggere, in questo mese difficile, e nemmeno di scrivere e disegnare, malgrado la grottesca “guerra dei pennarelli” che ha infuriato, con interi scaffali di supermercati sbarrati e tante energie profuse per scongiurare il fatale acquisto di “merci non essenziali” come carta e penna e lampostil.

«Finalmente», hanno pensato quelli che si erano ridotti a comprare nelle edicole qualsiasi cosa avesse forma di libro. Perché il rapporto dei lettori coi libri non si può esaurire nella fenomenologia delle merci, nella ragioneria delle vendite, nell’economia di mercato. E poche cose come i libri ci sono indispensabili, oggi, per conservare lucidità e un briciolo di serenità da devolvere al difficile “dopo” che ci attende.

Ma non solo i libri che già si sono scelti, e che si tratterebbe di prelevare e pagare, come fossero un pacco di zucchero o farina: la libreria, quella fisica, è da sempre il luogo delle scoperte, delle conquiste, della felice serendipità (trovare una cosa cercandone un’altra: uno dei meccanismi più belli della vita).

Ovviamente, mettendo in piena sicurezza chi ci lavora e i clienti: ma queste misure saranno comunque obbligatorie nei prossimi mesi per tutti e in tutti i negozi e locali, non facciamoci illusioni. E solo nei libri potremo trovare le idee, la forza, l’anima per sostenerlo, per superarlo. Per raccontarlo.

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