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Il dilemma (irrisolto) del premier: scegliere tra due malattie gravi

Giuseppe Conte

Un unico Paese che parla due lingue diverse. Perché, dietro, le preoccupazioni pesano diversamente. Se ascolti virologi e medici ospedalieri ecco che le misure decise da Giuseppe Conte appaiono blande e, fatalmente, potrebbero non arginare il coronavirus («Contagi fuori controllo, si rischia una tragica escalation del numero delle vittime»); se ascolti i commercianti, i ristoratori, i titolari di questo o di quello ecco che invece le misure introdotte con il nuovo Dpcm appaiono eccessive, e – qui e là – persino inique («Regole troppo penalizzanti, così si uccide l’economia»). E chi governa, innanzi a forti terribili timori, tutti condivisibili, deve scegliere. Sapendo che, inevitabilmente, finirà con lo scontentare tutti.

In gioco la salute, le libertà personali, le tasche di milioni e milioni di italiani, la qualità della loro vita, della loro anima. Se anima è visione di presente e di futuro, progetto, speranza.

Sullo sfondo – ma in drammi così grandi non ce n’è, forse, sfondo, e tutto è al centro della scena – bus con studenti e pendolari, tram che sferragliano, il su e giù di innumerevoli saracinesche, parrucchieri, nuotatori, barman, cassieri dei cinema multisala e d’essai, un esercito triste senza più, nessuno, la propria divisa, costume o grembiule, o gilet prezioso da indossare.

Sui mezzi pubblici capienza ridotta, e ridotto l’orario dei locali, azzerato quello di cinema e teatri (forse tra i salvabili), palestre e piscine. E le scuole calcio ridotte a praticelli, più o meno terrosi, abbandonati. Sport minore e sport “maggiore”. Attività primarie che forniscono un servizio di cui la collettività non può fa- re a meno, attività cui – scopriamo con amarezza – è possibile rinunciare.

Sullo sfondo, e stavolta è davvero sfondo, orde di negazionisti, complottisti, scettici, diffidenti: costoro rimuovono forse per rassicurarsi, forse perché nel nostro fragile mondo drogato di spazzatura social e televisiva, nel nostro mondo imbolsito dagli algoritmi cinici e disumanizzanti (pensateci) del web e da influencer spesso scalcinati e incolti, se neghi una cosa non esiste e in qualche modo affermi la tua superiorità. Un mondo in cui, evviva la demagogia, tu esisti “di più” se fai la differenza.

Ma potevamo farci trovare più preparati a questa seconda ondata di contagi? Certo che sì, sempre si può fare di più. Diligenti, volenterosi, ma sempre si può fare di più. Si poteva illudere di meno, forse, anche se sarebbe arrivata l’accusa di catastrofismo degno del peggiore dei menagrami. Si potevano prendere i soldi del Mes e destinarli agli ospedali, al potenziamento delle Terapie intensive, si poteva dire alla gente che i sacrifici non affrancavano dal problema Covid ma solo evitavano un massacro, e la strada da percorrere sarebbe rimasta lunga e dura, si potevano evitare atteggiamenti sprezzanti verso chi s’adoperava per la sicurezza. Non siamo immortali, signori. E sfruttare la miopia dei meno strutturati non è esercizio nobile della politica. Si è alimentata la confusione rimanendo fedeli ai ruoli: tra opposizione e maggioranza steccati inverosimili in questa situazione. Eppure...

Da forze politiche responsabili non ci si aspetta, ora, che cavalchino il malcontento gettando benzina - pur di raccattar consensi – sul fuoco già vivo, inevitabilmente, delle tensioni sociali. L’unità nazionale raccomandata dal Capo dello Stato è quel che ci serve. I sapientoni del “se ci fossi stato io” rinuncino, almeno per adesso, a spararle grosse. In questi mesi gli errori erano nel conto. Si poteva fare di più, ma pure di meno. Chiedete agli Usa, al Brasile, alla Gran Bretagna. Date un’occhiata a Spagna e Francia. E ancora e ancora.

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