A metà degli anni Novanta ci hanno raccontato che l’Italia aveva imboccato irreversibilmente la strada del bipolarismo. Azzerati da “Mani pulite” i partiti storici e ideologici, socialisti e socialdemocratici, democristiani e liberali, repubblicani e frotte di comunisti, avevano piantato le tende tra “margherite” e “ulivi”, bandiere tricolori “che menomale che Silvio c’è” e i più arditi hanno finanche ingrossato le file leghiste. Nel secondo decennio del nuovo secolo, l’avanzata pentastellata che si è conclamata nel 2018 con il 32% dei consensi a livello nazionale, ha indotto politologi e commentatori a parlare di nascente tripolarismo. Di fatto già svanito alla luce del disfacimento di un movimento i cui eletti, fatalmente destinati a un drastico ridimensionamento alla prossima tornata elettorale, puntano solo a traguardare la primavera del 2023, con una tappa di montagna da superare a ottobre, quando i vitalizi saranno blindati. Ma questa è ambizione non estranea a nessun inquilino di Montecitorio o Palazzo Madama.
Adesso c’è da eleggere un presidente della Repubblica giocando una partita doppia tra Colle e Chigi. E quali nomi, non troppo divisivi e su cui vi è possibilità di ampia convergenza, emergono dal mazzo delle candidature? Profili centristi e moderati. A cominciare dall’acquattato Pierferdinando Casini: una vita nell’Udc, poi il Ccd e l’Udc, alleato del centrodestra di Berlusconi lasciato dopo lunga convivenza per approdare nel centrosinistra che alle ultime consultazioni lo ha candidato nel Pd. Profili moderati sono anche quelli di Paolo Gentiloni, Franco Frattini, Marta Cartabia, Maria Elisabetta Casellati. È moderato, ma con un passato socialista, Giuliano Amato; ascrivibile al centro anche Marcello Pera. Moderato si definisce pure Silvio Berlusconi, che però non unisce. E super moderato è il premier Mario Draghi. Insomma, per l’elezione al Colle si attinge alla “scuola” democristiana, al centrismo che prende la forma dell’acqua nella sua derivazione centrodestrorsa o centosinistrorsa. E se oggi il Pd, trainando gli alleati, potesse contare su suffragi sufficienti per decidere chi dovrà salire al Quirinale, è molto probabile che punterebbe su Dario Franceschini, altro democristiano. Non prima di aver consumato un passaggio di cortesia con Romano Prodi, che dello scudocrociato porta le stimmate.
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