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Elezioni politiche al Sud: gli... estranei imposti dall’alto, il diritto di votare “uno di noi”

Marta? Pure a Marsala, e stiamo tranquilli. Così deve aver detto, al vertice máximo di Forza Italia, Silvio Berlusconi mentre vergava la decisione di destinare la compagna, la solare azzurrissima Fascina, a quel “remoto” ma sicuro collegio – uninominale, neanche a dirlo – in Sicilia occidentale. Una rampa di lancio strablindata – ha giurato Gianfranco Miccichè al Cavaliere – che porta a razzo fino alla porta di Montecitorio. Sulla “casella” di Marsala, a dire il vero, era stato – in un primo momento – scritto il nome di Stefania Craxi, ma la figlia di Bettino, orgogliosa milanese “doc”, vuole andare al Senato, sicché è stata “spostata” a Gela, dove ballerà da sola per la destra. Non hanno mai dimenticato le loro radici, i Craxi: è... piovuto in Sicilia anche Bobo, candidato del centrosinistra nell’uninominale per la Camera a Palermo-Resuttana-San Lorenzo.
Paracadutata nell’Isola anche Annamaria Furlan, genovese, segretaria generale della Cisl dal 2014 al 2021: sarà capolista per il Pd – l’obiettivo è Palazzo Madama – in Sicilia occidentale. Un Ufo, per i democrats locali.
Estranei: chi più ne ha, più ne metta. La disdicevole “tendenza”, che da sempre disancora la politica dal territorio, sta più del solito caratterizzando questa tornata elettorale per ovvie ragioni. Meno posti nelle due Camere, più frenesia e ressa all’ufficio di collocamento. Ed ecco che in Calabria, calati dall’alto, approdano Maria Elena Boschi e Luigi Di Maio, capilista – rispettivamente – del Terzo polo e di Impegno civico nella corsa per Montecitorio. E rispunta pure Alfredo Antoniozzi, da secoli più romano che cosentino: per l’occasione è tornato ai patri lidi. Sarà in gara per Fratelli d’Italia: viene a galla quantomeno una strana idea dell’identitarismo territoriale, concetto – peraltro insidioso... – che pure è tra i cardini del Meloni-pensiero.
Impossibile non accorgersi, e passiamo a un superbig, della presenza, anche in Calabria, dell’ubiquo Matteo Salvini, capolista al proporzionale, per far sfracelli e raccogliere quanti più voti possibili. Ma il discorso, nel caso del leader leghista, è diverso. Lui è viaggiatore, è multiculturale – dovrebbe preoccuparsene, la Meloni –: dalle Ande agli Appennini e a Lampedusa, passando per Mosca, dove c’è lui c’è casa. A Milano, in Basilicata, in paradiso. In lizza ovunque per “dare una mano” e anche, centrati i bersagli, gestire con più carte il “dopo”, a seconda – ovviamente – dei vari ordini d’arrivo delineatisi qui e là nel Paese.
L’elenco di estranei sarebbe ancora lungo, ma giusto per “par condicio” non dimentichiamo la scelta pentastellata di schierare in Calabria – capilista per Camera e Senato – gli ex magistrati Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato.
Un “fenomeno”, la prassi di catapultare da Roma e Milano persone che nulla ci azzeccano con la gente chiamata a votarle, che coinvolge tutti i partiti e troppe regioni. “Fenomeno” così tanto esteso e sfacciato da obbligarci a una riflessione. La politica ha davvero perso il contatto con la realtà. Persino con la più immediata, il territorio. Ma se smetteremo di garantire almeno una plausibile rappresentatività ci giocheremo – prima o poi del tutto – la partecipazione. Le segreterie dei partiti che, nessuna esclusa, impongono questo e quel candidato, non fanno altro che togliere senso all’elezione in corso, al Parlamento che si formerà, alla democrazia.
Assurdo, quindi, interrogarsi – la risposta è appunto sotto i nostri occhi – sulla disaffezione alla politica, sul crescente astensionismo, sulle generalizzazioni e sul qualunquismo che ne discende. La politica è stata colonizzata, male, da logiche di tipo economico-gestionale. Peccato, però, che prima di rilassarsi durante l’ordinaria manutenzione – anche con qualche mossa sgradita, se proprio “necessaria” – sarebbe stato meglio, di legislatura in legislatura, dare una sistemata seria alla casa. Ma in Italia – da tempo, ormai – la democrazia rappresentativa è solo facciata: sempre più svuotata di significato, ostaggio di personalismi che poggiano inevitabilmente su una cinica trascuratezza. Certo, rimangono in piedi le istituzioni rappresentative, ma sono stanze vuote.
Una democrazia che “fa a meno” del territorio è una democrazia che “fa a meno” del popolo: smette, cioè, di essere quello che per definizione dovrebbe essere. Non è difficile da capire e non dovrebbe essere facile ignorarlo. Eppure...
Che fare? Non crediamo di banalizzare se suggeriamo di seguire l’istinto: scegliere “uno di noi”, che vive in Calabria e in Sicilia, che ogni giorno ne respira i problemi e le legittime ambizioni, sembra essere la strada più naturale. Preferire, nell’area politica in cui trovano maggiore riscontro le nostre idee, persone che hanno a cuore il territorio, che ne siano – anche a Roma – lo specchio. Persone, per noi, più riconoscibili. (Alessandro Notarstefano)

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