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Dal “bipolarismo” Meloni-Schlein all’ondata sovranista in Europa

Le mura domestiche e quelle... globali

In una combo la premier Giorgia Meloni (S) e la segretaria del PD Elly Schlein. ANSA

Una... bozza di “bipolarismo”. Missione compiuta, in Italia, per Meloni e Schlein che, radicalizzando e rendendo nominale lo scontro, sono riuscite nell’intento segretamente condiviso: abbassare il più possibile la rilevanza delle forze intermedie e porre gli aventi diritto al voto (o almeno quelli interessati a esprimersi) innanzi a un bivio. L’idea, coltivata poco a poco, ha dato i suoi frutti: Giorgia ha personalizzato la battaglia, ci ha messo faccia e nome di battesimo – sbandierato, scandito, declamato sulle schede elettorali –, Elly si è spesa per fare del “referendum” sul governo un “referendum”, che si è intestata, contro il governo. Le urne non lasciano dubbi: entrambe hanno vinto, entrambe hanno migliorato il risultato delle Politiche. Meloni tiene gli alleati a distanza siderale, Schlein stacca – perentoriamente – i 5Stelle di Conte.
Meloni ringrazia, Schlein («L’alternativa siamo noi») mette il sigillo sulla vittoria, calmierando pure il vociare interno al Pd. Certo, sono percentuali che vanno lette tenendo anche conto della bassa affluenza – astensione da record –, ma le cifre sono cifre, e nessuno può trascurarle. Non potranno, infatti, le prime file leghiste ignorare il cedimento ormai costante del Carroccio targato Salvini – nel congresso autunnale, c’è da scommetterci, Fedriga e Zaia (anche in nome del fondatore Bossi) presenteranno il conto –; non potrà, la Forza Italia del post Berlusconi, non rivendicare per sé, dopo il sorpasso nei confronti della Lega, un peso maggiore all’interno della coalizione di centrodestra.
E i pentastellati? Il leader è, obiettivamente, in grossa difficoltà: dovrebbe – e in tempi brevi, dopo la brutta batosta – accettare l’idea d’essere in un vicolo angusto e riaccostarsi all’idea di campo largo (ammesso che, su larga scala, trovi la porta ancora così aperta): i riflettori sono puntati, anzitutto, sul già pianificato e “facile” ballottaggio di Bari, città in cui la partita – solo si fosse stati più coesi – poteva essere chiusa, con la destra battuta, già al primo turno.
Stritolati al centro, Renzi e Calenda devono registrare il tonfo: separati, tra bizze e veleni, sono rimasti sotto la soglia di sbarramento. Loro, più di chiunque, pagano la radicalizzazione dello scontro Meloni-Schlein. In un mondo che, di suo, sembra vivere – sempre di più – di estremismi, la loro proposta suona alla gran parte dei cittadini, evidentemente, vaga e poco attrattiva. D’altra parte, i venti che soffiano in Europa raccontano di una destra dilagante e d’un “centro di sinistra” resistente, sicché – di questi tempi – appare davvero difficile, per chi resta in mezzo senza bacchette magiche, farsi significativamente spazio tra gli elettori.
Infine, Verdi e Sinistra. Votati da coloro che considerano i democrats troppo centristi, inadatti a rappresentarli in modo pieno e categorico in alcune grandi cruciali battaglie, che siano ambientali o sui diritti civili. Ha ottenuto, Avs, un risultato importante: si tratta, a fare qualche somma, dei voti che “mancano” a Schlein per trattare numericamente alla pari con Meloni.
Ma guardiamo adesso al cuore di questa tornata elettorale. Guardiamo a Strasburgo e al nuovo parlamento Ue. La “maggioranza Ursula” ha retto, nonostante l’ondata sovranista: ci sono i numeri perché gli europeisti convinti possano esprimere la Commissione che governerà per i prossimi cinque anni. Ma il rischio è che, se non si cambierà passo, se non si proverà – davvero – a realizzare un’unione politica ad ampio spettro, i fatti consegneranno il Vecchio Continente alle derive dei peggiori nazionalismi: prevarranno perché basterà verbalizzare il fallimento. Il crollo di Macron e la virata francese a favore dell’estrema destra di Le Pen, l’avanzata dell’Afd in Germania e il “segnale” analogo che arriva dall’Austria parlano chiaro: si sta profilando una china molto pericolosa che, s’accentuasse, preconizzerebbe lo smantellamento graduale – forse neanche tanto soft – dell’Europa per come, quantomeno, l’abbiamo sognata. Tutto questo capita, e probabilmente non è un caso, mentre infuria la guerra Russia-Ucraina; e non sbaglia chi, in queste ore, immagina Putin – lui che l’Unione vorrebbe scardinarla pezzo a pezzo – mentre brinda al risultato della consultazione nei Paesi Ue. L’equazione è scontata: più deboli gli europeisti, più debole Kiev. E a novembre, con Trump mina vagante, voterà l’America…
In quest’ottica, una mossa utile potrebbe essere quella di allargare (ai Verdi?) la maggioranza Ursula per rafforzare a Strasburgo il fronte europeista.

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