Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

I miei primi quarant’anni alla “Gazzetta del Sud”

Più di quarant’anni in “Gazzetta del Sud”, dodici anni e otto mesi da direttore. Sì, al momento del commiato ti riappaiono tutti, i giorni in cui hai vissuto, trepidato “dentro” un giornale che – a poco a poco – è diventato il “tuo”: la migliore gioventù che se n’è andata, e il resto della vita spesa per raccontare le vite degli “altri”, e lì in mezzo c’eri pure tu, ché fai parte di ogni possibile “altro”. Perché l’Iraq, Tangentopoli, le uccisioni di Falcone e Borsellino, i terremoti, gli tsunami, i disastri aerei e ferroviari, la bassa e l’alta politica, il riscaldamento globale, le dimissioni di un Papa, e il terrorismo e le guerre, e le elezioni e ancora altre elezioni, e le uccisioni, i femminicidi, le vecchie e nuove povertà, e la qualità della vita, e il peggio della vita, la morte di un irripetibile artista e quella d’un boss spietato, tutto fa parte del tuo lavoro. Diverso e uguale, uguale e diverso. E t’avvedi, passo dopo passo, che hai una bella terribile responsabilità, quella d’organizzare notizie, di dar loro peso o “sottrarglielo” – se attribuirgliene troppo è sviare il mondo da ciò su cui dovrebbe rimanere più concentrato, appunto la condizione umana nella sua essenza, il dover-vivere in attesa del dover-morire –.

È una professione straordinaria, forse in nessun’altra “il concreto” ha così tanto il sapore dell’effimero: il giornalismo prende al laccio il tempo, ma non fa in tempo a “verbalizzarlo” che già gli sfugge, la “verità delle cose” è già diventata qualcos’altro. E questo romanticissimo incubo, soprattutto nel corso degli ultimi venticinque anni, si è fatto particolarmente ingombrante: è sempre più difficile tener testa alla “realtà”, raccontarla smussandone vischiosità e resistenze, districarsi tra i flussi talora inquinati del web, mettere ordine fra le troppe informazioni che ormai assediano, quotidianamente, le nostre esistenze, caotiche e sempre più impersonali. Il punto è che in questa (a)storica fase siamo dominati da un profluvio di comunicazione che “incide al ribasso” – costantemente – sui “propositi” di chi offre informazione, sui “neuroni” di chi la riceve. Una volta la curiosità era un sentimento più ingenuo; in anni ormai remoti era più facile meravigliarsi, e lo stupore innanzi a una notizia non faceva… scandalo. In una “realtà” come quella di oggi, così amorfa perché forse troppo infestata, e ubriaca, di dati, i fatti invece hanno perso colore e nitidezza, le esperienze vere difettano, tutto appare troppo fluido e quindi trascurabile. Mai, però, un reporter deve cedere all’intrattenimento, tradire l’etica che deve permeare ogni cronaca, sia che si “narri” di un incredibile conflitto in Europa nel 2024, sia che si riferisca intorno alla stretta prevista da un nuovo codice della strada. La “scrittura di scena” giornalistica, sempre, dovrà sottrarsi al vuoto di riflessione che è nei resoconti asfittici, dovrà saper “tornare ai fatti” ma sapendo ormai che saranno comunque “interpretazioni”. E dovrà, al contempo, ignorare la dilagante “domanda di conformità” alimentata da un mondo paradossalmente sempre più acritico perché impegnato a “criticare” ogni cosa.

Le informazioni sulla “realtà” sono ovunque, raccattabili in ogni anonimo dove: ebbene, ciò ci sta rendendo tutti molto più vulnerabili. Siamo drammaticamente trasparenti, disvelati dagli algoritmi, esposti: e la ribellione starà nel “resistere” – già, senza scampo, sconfitti ma resilienti – al “monitoraggio” che è preludio d’omologazione e morte del pensiero “eretico”, il solo che può salvare l'uomo-individuo e la società-organismo dalla scomparsa della “privacy”, unica ultima cassaforte di libertà. Non a caso tutelata dal miglior giornalismo.
L’auspicio è che la necessità di doversi muovere fuori d’ogni rassicurante “regola” – lasciate alle spalle tutte le culture “storiche”, uniformanti e monocrome – accresca la possibilità, porgendo modelli eterogenei, di propiziare rinnovate “pratiche di informazione”, finalmente affrancate dalla pervasiva bulimia del web (un promemoria: c’è dittatura non solo se non si ha il diritto di esprimere le proprie idee, ma anche se – per stare nel mondo – si ha l’obbligo di esprimerle “per forza”).
***
Dal futuro globale, tra speranza e… preghiera, al futuro di “Gazzetta”, che è solido dal 1952 e “specchio” della Fondazione Bonino Pulejo e di SES. Il giornale continua il suo percorso in mani sicure, quelle di Lino Morgante, mio amico vero prima che editore, e di Nino Rizzo Nervo, nuovo direttore – anche di “Gazzetta online” –, professionista di comprovata esperienza. Sono assolutamente certo che insieme sapranno leggere e reggere i tempi che attraversiamo e quelli che ci aspettano.

Infine, la mia riconoscenza allo “storico” presidente Gianni Morgante, al “mio” direttore Nino Calarco, al “mio” precettore Alfredo Leto, scomparsi tra il 2019 e il 2023, e un «grazie»: ai lettori – coloro che più danno senso a un giornale –, ai capiredattori Paolo Cuomo, mio alter ego e “anima” delle edizioni calabresi, e Lucio D’Amico, responsabile per la Sicilia, al segretario di redazione Daniela Cacciola, a tutti i colleghi giornalisti, bravi e sempre generosi, a Pippo Ilacqua direttore tecnico e ai colleghi “tipografi”, comprensivi e pazienti, alle “mie” preziose correttrici di bozze, ai colleghi – talvolta eroici – della rotativa e della spedizione, al personale amministrativo. Senza di loro, quel po' che ho fatto non sarebbe stato possibile.
Per la prima volta in carriera, m’accorgo, ho utilizzato modi e toni intimisti: mi scuso, ma in questo frangente non poteva essere altrimenti, noi di “Gazzetta” siamo fatti così.

Oggi in edicola

Prima pagina

Ancora nessun commento

Commenta la notizia