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GDShow, arriva anche Manlio Dovì: a Taormina porto la mia anima di imitatore

«E poi c'è che quando Salvo La Rosa chiama, sia per lo scopo benefico della serata che per la grande amicizia che mi lega a lui, io volo». È bene dirlo subito, che Manlio Dovì il prossimo 7 settembre sarà a Taormina ospite del GDShow-Una serata con le Stelle, a sostenere la causa promossa (per il secondo anno consecutivo) da Gds Media Communication e Ses e devolvere il ricavato all'Airc.

«Un saluto regale di Carlo d'Inghilterra, un punto ironico sulla politica che sta “avvenendo” e lo sfogo di chi non va più a votare, Aznavour e “Lei” dedicata a tutte le donne capaci d'amare». Sul palco del Teatro Antico si porterà il “bagaglino” dell'imitatore e l'anima di attore teatrale e cinematografico, il cantante ”tale e quale” a nessun altro, quella natura siciliana di Palermo dov'è nato e il suo cordone di legami mai recisi. Prima la gavetta locale, poi le chiamate nazionali: Pippo Baudo e “Fantastico”, Pingitore al “Bagaglino”, Carlo Conti a “Tale e Quale Show”.

Com'era e com'è diventata la satira in questi anni?

«In teatro venivano i politici, Andreotti era autoironico, D'Alema meno. Fui ricevuto da Cossiga che mi gratificò molto, tra una picconata e una risata in lui c'era un fondo enorme di verità, una lettura autentica di tempi ancora non sospetti, i panni che si lavavano in casa. Oggi esiste il web che ha cambiato tutto, oggi i social devono certificare tutto».

Tu niente Instagram e poco Facebook

«Io sono fuori dal tempo».

Per limite o per scelta?

«È che tendo a chiudermi, osservo e ascolto ma non sento l'esigenza di mettere sempre in primo piano la mia opinione. Se fosse il caso, è il palcoscenico l'occasione di dirla a modo mio. Sordi diceva che le sue idee politiche passavano per i suoi film, a ciascuno la propria dimensione».

Per imitare si carica dove già c'è?

«Esatto. Sono “forattiniano” io, cerco il tallone d'Achille, il tic, il paradosso e lo amplifico. Magari mentre una persona mi parla io mi concentro sulla mimica del volto, sul suono della voce: tempi, ritmi, intonazione, né più né meno che il doppiatore. E magari mi perdo il contenuto del discorso, ma guadagno quel senso in più che mi fa notare cose inosservate. Poi "l'abbuffuniamento" è un'arte di cui al Sud siamo maestri...».

Da piccolo disegnavi…

«Al Classico i professori minacciavano di bocciarmi perché volevano mi trasferissi all'Artistico. Per sfogare la fantasia il banco di scuola diventava di tela. Le scene di classe, la sagoma del professore, immagini di cartoni animati… disegnavo tutto. Ma nel disegno devi avere un tratto riconoscibile, non è detto che saper disegnare poi si traduca in originalità o in uno stile inconfondibile. Forse un giorno, in un altro momento della vita, tornerà quella passione e tornerò a disegnarla».

Intanto dove ti rivedremo?

«Al Maurizio Costanzo show. Io amo la tv che segue il Teatro, quando nel mezzo del talk show ti alzi e comincia il tuo spettacolo».

È un asso pigliatutto

«Eduardo diceva che è sempre un esame esibirsi, io sento sempre la stessa emozione e grande preoccupazione. Preferisco un quarto d'ora di fuoco, un Bignami del mio repertorio, che star lì a dilungarmi. Erano anni che Costanzo non mi invitava, sono sempre stato un discontinuo e l'ho pagato».

Da che dipende?

«Dal non voler essere invadente. Serve avere qualcosa da dire prima di parlare. La televisione ti dà la popolarità ma non puoi importi a tutti costi. C'è il teatro a mantenerti vivo».

Col trucco o senza?

«Non amo il trucco. Al “Bagaglino” erano accenni, a “Tale e Quale Show” è stato spersonalizzante e faticosissimo, in compenso mi sono misurato col canto che è la cosa che mi piace di più».

È il tuo spettacolo nel cassetto?

«Dopo vent'anni di prove e prove a casa, racconterò l'amore e la vita attraverso le canzoni. Non so se ho amato, se l'ho fatto con ardore, né se sono all'altezza di poter parlare dell'amore. So che suonerò la chitarra, so che era il sogno di mio padre e so che lo realizzerò».

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