Centosettanta vittime in due naufragi. Centosettanta persone morte negli ultimi giorni in un Mediterraneo che, anche in questo scorcio del 2019, si conferma "cimitero dei migranti". I barconi del sogno europeo non si fermano e continuano a partire dalla Libia, in fuga da «violenze e abusi», dalle torture dei centri di detenzione, come raccontano i fortunati che ce la fanno. Solo oggi altri tre gommoni sono stati avvistati al largo di Tripoli, due sono stati riportati in Libia, mentre un altro con a bordo 47 migranti è stato soccorso da Sea Watch che resta ora in attesa di indicazioni dalle autorità per un porto sicuro.
«Le ong si scordino di ricominciare la solita manfrina del porto in Italia o del 'Salvini cattivo'. In Italia no», chiosa il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, in una diretta pomeridiana su Facebook. «Ci sarà un secondo processo di Norimberga - lo attacca il sindaco 'disobbediente' di Palermo, Leoluca Orlando - e lui non potrà dire che non sapeva». «I nostri nipoti - gli fa eco padre Alex Zanotelli - diranno di noi quello che noi diciamo dei nazisti».
L’ultima tragedia è avvenuta ieri mattina, quando le autorità libiche avvistano un gommone in difficoltà con «circa 50 migranti», secondo la loro stima, a nord di Garabulli. La Guardia costiera di Tripoli invia prima una motovedetta - poi costretta a tornare indietro per avaria - e poi allerta un mercantile battente bandiera liberiana per soccorrere il natante. Nel frattempo, un paio d’ore dopo, il gommone viene avvistato anche da un velivolo dell’Aeronautica militare italiana che riferisce di sole 20 persone a bordo. Ma a quel punto il gommone è già semiaffondato.
L’equipaggio dell’aereo lancia due zattere di salvataggio, mentre poco più tardi un elicottero inviato dal cacciatorpediniere Caio Duilio recupera i tre superstiti del naufragio e li porta a Lampedusa. Saranno loro a rivelare che su quel gommone «eravamo in 120, tra cui 10 donne e anche un bimbo di due mesi». Su quanto accaduto indagano la procura militare di Roma e quella ordinaria di Agrigento. Gli inquirenti sono alla caccia dei responsabili del traffico, ma vogliono fare chiarezza anche sulle modalità del soccorso.
Era stato il senatore e ufficiale delle Capitanerie, Gregorio De Falco, nel pomeriggio a invitare Marina e Guardia Costiera a «fornire ogni ragguaglio della situazione». «Ricordiamoci - aveva detto - che esistono obblighi di soccorso derivanti sia da norme di diritto internazionale che interno, oltre al buon senso. Il naufragio è una cosa e l'immigrazione un’altra». Un altro naufragio, invece, è avvenuto nei giorni scorsi ed è costato la vita a 53 migranti che tentavano di raggiungere l'Europa sulla rotta nel Mediterraneo occidentale, in direzione della Spagna.
Un sopravvissuto, riferisce l’Unhcr, è stato soccorso da un peschereccio e sta ricevendo le cure mediche in Marocco. Navi di soccorso marocchine e spagnole hanno perlustrato a lungo quel tratto di mare, ma senza risultati. Ed oggi, proprio in Spagna - a Barcellona - sono scesi in strada attivisti e volontari dell’ong OpenArms, in corteo per le strade della città sulle note di «Bella Ciao». Sulla tragedia di ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso «profondo dolore», mentre il premier Giuseppe Conte si è detto «scioccato».
Immancabile, però, monta la polemica politica, con Salvini che torna all’attacco delle ong. «Loro tornano in mare - accusa -, gli scafisti ricominciano i loro sporchi traffici e le persone tornano a morire». Per l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, quella attuale è «una politica migratoria criminale». «Noi siamo l’Italia - scrive Matteo Renzi -: se c'è gente in mare, prima la salviamo. Poi si discute». Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, lancia un appello all’Europa che, dice, «non può più restare a guardare».
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