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Stati Uniti, l'ottimismo di Trump: "Presto l'accordo sui dazi con la Cina"

Una data ancora non c'è, nessuno si azzarda a farla. Ma è Donald Trump, impaziente di ottenere i risultati sperati, a indicare quando e dove Usa e Cina potrebbero suggellare lo storico accordo per porre fine alla guerra dei dazi: fine marzo in Florida, nella 'Casa Bianca d’inverno' di Mar-a-Lago, il resort di famiglia dove il tycoon vuole invitare Xi Jinping.

Nelle ultime ore i due leader hanno lanciato la stretta finale nei negoziati, ripresi all’inizio della settimana a Washington ed estesi per altri due giorni nel tentativo di arrivare a un testo o a più testi condivisi. Sono le carte che poi dovrebbero essere sottoposte ai due presidenti proprio nel prossimo summit.

Xi ha inviato anche una lettera a Trump, dove auspica il raddoppio degli sforzi per trovare quell'intesa che per Pechino è a portata di mano. Anche l’inquilino della Casa Bianca ha ostentato ottimismo, incontrando nello Studio Ovale il vicepremier cinese, Liu He, pur mostrando maggiore cautela sull'esito finale delle trattative. Perché se è vero che il tycoon preme per l’accordo, che rappresenterebbe un fiore all’occhiello della campagna per la sua rielezione nel 2020, è anche vero che ancora molti ostacoli restano da superare.

La preoccupazione di molti è che Trump si accontenti della promessa fatta da Pechino di acquistare 1.200 miliardi di dollari in più di beni 'made in Usa' (dalla soia ai semiconduttori) per alleggerire il deficit commerciale, accettando di fatto un’intesa al ribasso piuttosto che pretendere quelle riforme strutturali dell’economia cinese invocate da tempo. Riforme che però - osservano diversi commentatori ed esperti - Pechino continua a vedere come un tentativo di contenere la sua espansione come potenza mondiale.

Così, ci sono pochi dettagli sui progressi di cui le delegazioni americana e cinese continuano a parlare, mentre sul tavolo dei negoziati resterebbero irrisolti nodi cruciali, come il trasferimento delle tecnologie Usa alle aziende cinesi, gli aiuti e i sussidi che Pechino continua a garantire a molte sue aziende, creando concorrenza sleale, o la protezione della proprietà intellettuale, con gli Usa che non smettono di denunciare il furto dei diritti d’autore.

E poi c'è la questione della 'manipolazione' dei cambi da parte della Cina, più volte lamentata anche dall’Europa e su cui sembrerebbero esserci spiragli di intesa, ma anche qui senza alcun dettaglio sui risultati conseguiti. I colloqui comunque vanno avanti e Trump ha ribadito di essere disposto a prorogare la scadenza del primo marzo: quella che, senza un accordo, prevede l’aumento dal 10% a 25% dei dazi su 200 miliardi di dollari di prodotti 'made in Chinà.

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