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La Libia sprofonda nel caos e l'Isis torna a colpire: salta la conferenza dell'Onu

L’ulteriore caos creato in Libia dall’attacco del generale Khalifa Haftar a Tripoli è stato sfruttato dall’Isis per tornare a colpire, mettendo letteralmente a ferro, fuoco e sangue una località nel centro del Paese. E anche se l’assalto lanciato giovedì dell’uomo forte della Cirenaica almeno nelle ultime ore sembra aver perso slancio, un altro suo effetto è il rinvio a un fumoso futuro della conferenza nazionale di Ghadames, quella che in tre giorni da domenica avrebbe dovuto indicare una data delle elezioni e quindi una soluzione della crisi invece ora sempre più nera.

Lo Stato islamico, rivendicando l’incursione, ha attaccato a Fuqaha, nel distretto di Jufra, 370 km a sud di Sirte. Secondo ricostruzioni di media, i terroristi sono arrivati di notte a bordo di 13 mezzi e ucciso almeno tre persone, tra cui il sindaco, Ismail al-Sharif.

Nella loro furia hanno dato alle fiamme alcune abitazioni di poliziotti e la sede delle guardie municipali del centro, il cui capo è stato rapito e poi liberato. Fuqaha, una delle ultime roccaforti di gheddafiani, era stato anche bastione dell’Isis stesso nel periodo (2015-2016) durante il quale lo Stato islamico aveva sfruttato il vuoto di potere creando un califfato attorno a Sirte e a Derna, da dove era stato cacciato nel deserto da misuratini, raid americani e popolazioni locali.

L’altro segnale preoccupante è arrivato dall’inviato dell’Onu in Libia, Ghassan Salamé, che ha ufficializzato quello che tutti temevano: in queste condizioni, tra «bombardamenti d’artiglieria e raid aerei», non si può tenere la conferenza fino ad oggi prevista per il 14-16 aprile nella città libica al confine con la Tunisia. Questa «storica opportunità», ha assicurato il diplomatico libanese, si terrà «alla prima occasione possibile».

Ma non ci sono date cui attaccare le speranze di veder risolta la crisi libica ormai tracimata in terza guerra civile dopo la rivoluzione del 2011 e il conflitto interno del 2014. Solo negli ultimi tre giorni gli scontri, di cui in serata è stata segnalata una ripresa nella zona di Qaser Bin Ghashir, a 25 km dal centro di Tripoli, hanno causato 47 morti e 181 feriti. Nove i civili uccisi, tra cui due medici. Cresciuto a circa 3.500 il numero degli sfollati.

L’Esercito nazionale libico (Lna) di cui Haftar è comandante generale ha incassato diverse notizie negative: altri 23 prigionieri e, soprattutto, 34 defezioni. La coalizione di milizie che difende Tripoli e il premier Fayez al-Sarraj gli ha attaccato la base aerea di al-Watiya e distrutto autobotti nel centro del Paese. Alcuni mezzi dell’Lna sono stati catturati perché fermi senza carburante: una conferma del problema rifornimenti nell’ovest previsto da diversi analisti per l'armata di 85mila uomini basata all’est e già allungatasi su varie direttrici del sud.

Lo scalo occidentale di Mitiga - l’unico funzionante della capitale e chiuso in seguito a raid del generale dichiarati come un avvertimento ai filo-Sarraj a non sfruttarlo come base militare - ha riaperto per i voli notturni e lo stesso Lna ha fatto capire che non intende colpirlo di nuovo. Haftar comunque è parso all’attacco con raid sull'aeroporto sud chiuso dal 2014 e dichiarando la presa di un imprecisato numero di tank e veicoli.

Sul fronte diplomatico, il capo di Stato egiziano Abdel Fattah al-Sisi, grande sponsor del generale, ha incontrato a Washington il presidente americano Donald Trump, la cui amministrazione oscilla fra azioni di disimpegno a danno di Tripoli e dichiarazioni anti-Haftar. Mentre domani si riunirà di nuovo il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

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