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Brexit, scontro Johnson-Ue sui tempi del negoziato

Ancora prima di cominciare, i negoziati sulla relazioni futura tra il Regno Unito e l’Unione Europea sono già a rischio, dopo che Boris Johnson ha annunciato la sua intenzione di far approvare una legge per escludere una proroga del periodo di transizione post-Brexit oltre il 31 dicembre 2020.

«Per il primo ministro è assolutamente chiaro che il periodo di transizione non sarà esteso», ha annunciato un portavoce di Downing Street, sollevando nuovamente la prospettiva del «precipizio» del «no-deal» sull'accordo commerciale che l’Ue e il Regno Unito dovrebbero iniziare a negoziare il 1o febbraio prossimo e concludere in appena 11 mesi.

Dopo un dibattito nel collegio presieduto da Ursula von der Leyen, il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis si è detto «preoccupato»: il tempo a disposizione per portare a termine i negoziati commerciali è «molto ridotto» e questo rischia di rendere «problematiche le trattative». Secondo Dombrovskis, il calendario è «molto rigido».

In così poco tempo, «alcune cose saranno escluse» dalla partnership futura. Il capo-negoziatore dell’Ue, Michel Barnier, ha promesso di «fare il massimo» per arrivare a un’intesa con Londra: «quello che viene definito il precipizio non sarà mai la scelta dell’Ue, mai. È la ragione per cui lavoreremo con dinamismo e passione per arrivare a un accordo», ha promesso Barnier.

Il rischio del «no-deal» sulle relazioni future è sostanzialmente lo stesso del «no-deal» sulla Brexit: dazi sulle merci, code a Calais, interruzione della catena del valore, penuria di medicinali nel Regno Unito, introduzione di visti per i cittadini britannici e europei, lo stop della cooperazione su terrorismo e criminalità. Insomma, la rottura totale dei rapporti economici e di sicurezza tra le due sponde della Manica.

Grazie alla sua schiacciante vittoria alle elezioni, Johnson sembra convinto di poter andare alla prova di forza con l’Unione Europea sfruttando la solida maggioranza dei Tories alla Camera dei comuni. Per una volta a Bruxelles si pensa che l’istrionico premier conservatore faccia sul serio, anche perchè Johnson non ha dato segnali di maggiore pragmatismo sulla sostanza dell’accordo commerciale.

«La contraddizione di Boris Johnson è che vuole un accesso al mercato europeo totale, ma non vuole assumere gli impegni che rendono questo accesso al mercato possibile», ha detto il capogruppo dei Verdi all’Europarlamento, Philippe Lamberts. L’Ue sospetta Johnson di voler trasformare il Regno Unito in una «Singapore sul Tamigi» che farebbe concorrenza sleale a colpi di dumping.

«Non accetteremo un accordo commerciale che permette standard più bassi per i nostri consumatori rispetto a quelli previsti nel mercato interno», ha spiegato il capogruppo del Ppe, Manfred Wener. «se vuole avere accesso al nostro mercato, deve rispettare i nostri criteri per produrre e vendere prodotti». La posizione dell’Ue sull'accordo commerciale viene riassunta da von der Leyen e Barnier con uno slogan: «zero dazi, zero quote e zero dumping».

Ma in un negoziato commerciale sarà più difficile per gli Stati membri mantenere l’unità che i 27 hanno mostrato nelle trattative Brexit. Ciascuno paese ha priorità politiche e economiche diverse. Johnson cercherà di sfruttare queste divisioni. Oltre all’accordo commerciale, poi, vanno negoziati intese in altri settori come la cooperazione nei settori della polizia e della giustizia, i servizi, lo scambio di informazioni, il trattamento dei dati, eccetera.

Sabine Weyand, che dirige la Direzione generale Commercio alla Commissione, oggi ha detto che «bisogna prendere sul serio» la minaccia di Johnson di non prolungare la transizione e concentrarsi sui settori in cui Ue e Regno Unito si troveranno di fronte al «precipizio». Il piano B dell’Ue è dare priorità ai settori in cui non c'è un quadro giuridico internazionale che possa fungere da paracadute.

Tradotto: sul commercio il Regno Unito potrebbe ritrovarsi con i dazi del Wto e i controlli sulle merci alle dogane. Il 31 gennaio la Brexit ci sarà, ma il braccio di ferro tra Londra e Bruxelles è lungi dall’essere finito.

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