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Il coronavirus ora ha un nome: Covid-19. Speranze per un vaccino in 18 mesi

Ha un nome ora il nuovo coronavirus che spaventa il mondo. A un mese esatto dall’annuncio della prima vittima a Wuhan, l’11 gennaio scorso, l’organizzazione ha finalmente dato un nome alla nuova malattia: si chiama Covid-19, dove 'co' sta per coronavirus, 'vi' per virus e 'd'per 'diseas', malattia. Potrebbe inoltre essere pronto in 18 mesi il primo vaccino contro la nuova minaccia.

«Abbiamo dovuto trovare un nome che non si riferisse a una zona geografica, a un animale a un individuo o a un gruppo di persone e che fosse anche pronunciabile e riferito alla malattia», ha spiegato il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, in conferenza stampa a Ginevra. «Avere un nome significa evitare altri nomi che possano essere inaccurati o stigmatizzanti», ha proseguito Ghebreyesus, «e ci dà anche un format standard da usare per ogni futura epidemia di coronavirus».

In passato, alcuni virus hanno infatti preso il nome dal luogo o da una regione in cui sono stati identificati per la prima volta: è il caso del Mers, che sta per Sindrome respiratoria del Medio Oriente, nel 2012; il virus Ebola è stato così denominato da un fiume nella Repubblica Democratica del Congo; la malattia di Lyme prende il nome da una città del Connecticut. Tuttavia, nel 2015 l’Organizzazione mondiale per la Sanità (Oms) ha pubblicato una nuova guida, esortando gli scienziati a evitare nomi che potrebbero causare inutili effetti negativi su nazioni, in questo caso la Cina, economie e persone.

«I termini che dovrebbero essere evitati nei nomi delle malattie includono aree geografiche (ad es. Sindrome respiratoria mediorientale, influenza spagnola, febbre della Rift Valley), nomi di persone (ad esempio Malattia di Creutzfeldt-Jakob, malattia di Chagas), specie di animali o alimenti (ad esempio influenza suina, influenza aviaria), riferimenti culturali, di popolazione, industriali o professionali (ad esempio legionari) e termini che incitano alla paura indebita (termini quali sconosciuta, fatale, epidemia)», si legge nelle linee guida. Secondo l’Oms, al contrario, «il nome di una malattia dovrebbe consistere in termini descrittivi generici, in base ai sintomi, a coloro che colpisce, alla sua gravità o stagionalità».

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