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Usa, il Coronavirus come 20 anni di guerra in Vietnam: una battaglia con 55 mila morti

L’America riapre a macchia di leopardo, con gli Stati repubblicani già in movimento, ma scopre che la sua battaglia contro il coronavirus è costata finora oltre 55 mila vittime, solo tremila in meno della ventennale guerra in Vietnam.

Forse però il numero potrebbe già essere superiore se si considera l’analisi del Washington Post, secondo cui nelle prime settimane della pandemia, dall’inizio di marzo al 4 aprile, negli Usa ci sono stati circa 15.400 morti in più rispetto alla media storica, quasi il doppio delle vittime attribuite in quel periodo al Covid-19.

Del resto il bilancio dei decessi potrebbe essere sottostimato anche a livello mondiale: in base ad uno studio del Financial Times, su 14 Paesi sarebbe di quasi il 60% superiore a quello delle statistiche ufficiali, mettendo a confronto le morti avvenute tra marzo e aprile di quest’anno con quelle dello stesso periodo dei cinque anni passati. La ripartenza in Usa avviene mentre si sfiorano ormai un milione di casi, un terzo del totale globale arrivato ad oltre tre milioni, ma con un calo del numero di vittime, 1.330 nelle ultime 24 ore rispetto alle 2.494 del giorno precedente.

I decessi continuano a diminuire anche a New York, lo Stato più colpito (337 nelle ultime 24 ore). Ma ci sono ancora 1.000 nuovi casi al giorno e, in base ai test sugli anticorpi fatti a 75 mila persone, c'è un tasso di infezione del 14,9%, ha riferito il governatore Andrew Cuomo, che ipotizza di prorogare il suo ordine di stare a casa dopo il 15 maggio in alcune zone e di riaprirne altre solo a determinate condizioni.

Intanto la Casa Bianca ha annullato anche per oggi il briefing della task force, come aveva già fatto nel weekend, dopo la bufera scatenata da Trump con le sue ipotesi di curare il coronavirus attraverso iniezioni di disinfettante e l'esposizione ai raggi ultravioletti. Precipitato nei sondaggi, il tycoon scompare dal video e si concentra sul rilancio dell’economia, confrontandosi oggi con i governatori e i dirigenti d’azienda.

Ma torna ad attaccare su Twitter, denunciando i media come «nemici del popolo» e chiedendosi perché i contribuenti americani dovrebbero salvare Stati e città governati male dai democratici: una frecciata che rilancia l'ipotesi del leader dei repubblicani al Senato Mitch Mcconnell di lasciar andare in bancarotta gli Stati che non riescono a sostenere l’emergenza coronavirus senza fondi federali.

Oggi Tennessee e Mississippi si sono uniti ad altri Stati repubblicani che hanno cominciato a riaprire alcune attività, come Georgia, South Carolina, Oklahoma e Alaska. Ma ci sono anche Colorado e Minnesota, guidati da governatori dem, come quello del Montana, che ieri ha consentito anche la riapertura delle chiese, con il distanziamento sociale, mentre ristoranti e scuole ripartono il 7 maggio. Resistono i suoi colleghi in Michigan e California, ma in quest’ultimo Stato le folle hanno invaso nel weekend le spiagge vicino a Los Angeles e San Diego nonostante i divieti.

Sullo sfondo di questa prima, confusa fasi di riapertura, la Casa Bianca sta mettendo a punto altre linee guida per la riapertura di scuole, programmi di assistenza all’infanzia, alcuni luoghi di lavoro, trasporti di massa, ristoranti e luoghi di culto: queste due ultime attività, scrive il Washington Post, restano i nodi più controversi.

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