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Apocalisse a Beirut, imprenditore di Nicotera sotto choc: vado via

Sergio La Torre

«Da tempo pensavo di andare via da Beirut per una situazione divenuta ormai insostenibile. Dopo quanto successo ne sono ancora più convinto. Andrò via e come me tanti italiani che in seguito all’esplosione di martedì sono ancora sotto shock». Ad affermarlo l’imprenditore nicoterese Sergio La Torre, 54 anni, padre di due figli, una ragazzina di 14 anni e un maschietto di 9, sposato con una libanese. A Beirut, La Torre abita a soli 6 chilometri dal porto, la casa dei figli e dell’ ex moglie a 4, e il suo ufficio è a soli 2 chilometri dalla zona dell’esplosione.

«Tutti gli edifici nel giro di 10 chilometri hanno subìto danni ingenti – afferma ancora sconvolto dalle notizie che giungono dagli amici libanesi – . Noi siamo stati fortunati perché siamo scampati. Nonostante tutto le notizie che arrivano non sono belle. Le foto, i video ritraggono una realtà sconvolgente».

Per La Torre soltanto danni materiali, per quanto ingenti, in ufficio e a casa: vetri in frantumi, tapparelle e porte divelte, arredamenti distrutti, ma nulla in confronto alla tragedia dei morti e delle migliaia di feriti.

«Tutti, dal 2014, erano a conoscenza della pericolosità delle 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio presenti nel deposito del porto di Beirut – dichiara amareggiato – , ma nessuno ha fatto niente. Dopo l’esplosione il governo ha cercato delle scuse risibili, come il dire che era colpa dei fuochi di artificio. Dopo poco ha confermato che si trattava del nitrato confiscato ad una nave. Tanta gente, invece, dichiara di aver sentito e visto prima dell’esplosione degli aerei, ma il governo non accetta questa versione, nessuna natura dolosa. Personalmente sono dell’idea che questa catastrofe è stata esclusivamente la conseguenza della negligenza dell’attuale classe politica corrotta, incapace, ma soprattutto criminale, che ha sottovalutato la situazione perché per queste persone le priorità sono altre e non la sicurezza delle persone».

La Torre, che a Beirut possiede una fabbrica di nastro adesivo, ma in particolare un’holding che gestisce varie aziende produttrici di vernici e pitture e del settore costruzioni e distribuzione di auto e camion sparse per l’Africa, ha 400 dipendenti, di cui 20 sono libanesi. «Sono tutti preda dello sgomento, sono scioccati – dichiara – . Il figlio di un amico calabrese è rimasto ferito per un crollo interno. Un collega, che si trovava a 4 chilometri, ancora non ci sente da un orecchio. Alcuni amici che avevano case vicine al porto sono dovuti andare a stare in albergo e non hanno più un tetto. Gente che già aveva perso il lavoro adesso è rimasta anche senza casa. Siamo nello sconforto totale perché il Paese era già in ginocchio per colpa di una crisi politica ed economica drammatica. La moneta libanese in poco tempo ha perso il 90% del potere di acquisto. Uno Stato che non ha mai avuto delinquenza adesso assiste impotente a fenomeni di criminalità improvvisa amplificata dalla povertà. Il covid, poi, ha peggiorato la situazione».

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