Il mandato come quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti d’America è per Joe Biden il coronamento di una vita in politica, trascorsa tra alti e bassi. Laureato in scienze politiche nel 1965 a Newark, si specializzò in legge nel 1968 a Syracuse, per poi essere ammesso nell’albo degli avvocati nel 1969, attività esercitata per un breve periodo e con modesto successo. Eletto nel consiglio della contea di New Castle dal 1970 al 1972, appena trentenne, nel 1972 Biden a sorpresa riuscì a farsi eleggere spodestando un affermato senatore repubblicano. Ma poche settimane dopo, sua moglie e sua figlia morirono in un incidente d’auto. Pensava di dimettersi per occuparsi dei suoi figli Beau e Hunter, ma lo speaker del Senato lo dissuase dal farlo. Così Biden prestò giuramento il 5 gennaio 1973. E’ stato senatore federale del Delaware per sette mandati consecutivi, fino al 2008, quando si dimise per assumere la funzione di vicepresidente degli Stati Uniti nell’amministrazione guidata da Barack Obama.
Durante i suoi primi anni al Senato, Biden concentrò la sua attività politica su temi come la difesa dei consumatori e le questioni ambientali. Nel 1974, la rivista Time lo inserì nella lista dei «200 volti per il futuro». In un’intervista di quello stesso anno, si definì un «liberal sui diritti civili, sulle libertà e sulla salute, ma conservatore su altri questioni, tra cui l’aborto e la leva militare».
Quella di quest’anno non è la prima candidatura alla Casa Bianca per Joe Biden. La prima è del 1987, quando l’allora quarantenne - che partì come uno dei favoriti - si trovò costretto a gettare la spugna dopo una serie di rivelazioni sul suo passato e di accuse plagi nei discorsi della campagna elettorale.
Durante il mandato da senatore ha ricoperto numerosi importanti incarichi: dal 1987 al 1995 è stato presidente della Commissione Giustizia del Senato federale, nel 2001 è diventato presidente della commissione Esteri del Senato ricoprendo lo stesso ruolo per ben tre volte e risultando alla sua guida in fasi cruciali per la politica estera statunitense come la risposta agli attentati dell’11 settembre 2001 e delle votazioni in Congresso sull'inizio delle ostilità contro l’Iraq di Saddam Hussein. Dal 2007, contemporaneamente all’incarico di presidente della Commissione Esteri del Senato, Biden è stato presidente del Comitato di controllo sul narcotraffico internazionale del Congresso, incarico mantenuto fino al 2009 quando è stato nominato vicepresidente.
Presidente della Commissione giudiziaria del Senato, nel 1991 supervisionò la conferma del giudice Clarence Thomas alla Corte Suprema, quando erano emerse le accuse di molestie sessuali contro il magistrato. Biden si trovò poi ad organizzare un’audizione televisiva della sua accusatrice, Anita Hill, che si trasformò in un fiasco: la professoressa di legge fu osteggiata da una giuria di soli uomini. Un incidente per il quale successivamente Biden presentò le scuse.
Tre anni dopo, recupera parte del credito perduto con l’adozione, su sua iniziativa, di una legge contro la violenza sulle donne. E’ la legge di cui egli, a posteriori, si definirà «il più orgoglioso». Si tratta solo una parte di una riforma della giustizia penale molto più ampia, guidata sempre dallo stesso Biden. Passato in un momento in cui il crimine stava devastando parti della società americana, segna un consenso trasversale ad un approccio molto repressivo: oggi il «Crime Act» del 1994 viene considerato una delle cause dell’esplosione del numero di detenuti negli Stati Uniti, ma anche del fatto che la maggior parte dei detenuti nelle carceri Usa sono afroamericani nelle carceri. «E' stato un errore», ha ammesso Biden nel suo dibattito finale con Trump. Un altro «errore», a detta dello stesso Biden, fu quello di aver votato nel 2002, da presidente della Commissione Esteri, a favore dell’autorizzazione della guerra in Iraq, dopo aver organizzato l’audizione di molti testimoni che hanno portato la gente a credere - a torto - che il regime di Saddam possedesse armi di distruzione di massa.
Bocciato alle primarie, Biden fu scelto da Obama come compagno di corsa entrando alla Casa Bianca con lui nel gennaio 2009: nel pieno della crisi finanziaria. Da vicepresidente facilitò l’adozione da parte del Congresso di un enorme pacchetto di stimoli da 700 miliardi di dollari. A questo piano si attribuisce il merito del rimbalzo dell’economia americana.
Dopo un’altra morte tragica, quella del figlio maggiore Beau per un tumore al cervello, Biden rinunciò a candidarsi alla presidenza nel 2016, nonostante la sua forte popolarità, soprattutto tra gli elettori e i lavoratori neri. La partita cambia quattro anni dopo, quando decide di correre contro Donald Trump: vinte le primarie democratiche su una linea moderata, soprattutto grazie al sostegno degli afroamericani. E’ dopo il ritiro di Bernie Sanders e l’endorsement di Obama, nell’aprile del 2020, che la corsa di Biden è entrata nel vivo: ad agosto l’annuncio della senatrice Kamala Harris come 'running mate', prima candidata di colore (ha origini sia afroamericane che sud-asiatiche) alla vicepresidenza degli Stati Uniti. Il 18 di quello stesso mese, Biden la nomina ufficiale come candidato democratico per l’elezione presidenziale del 2020. E ora la Casa Bianca.
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