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Sì alla candidatura di Ucraina e Moldavia nell'Ue: i Balcani in rivolta. Ma è un giorno storico

«Momento storico». È l'espressione più in voga oggi a Bruxelles, dove il Consiglio europeo era chiamato a ratificare la richiesta della Commissione di concedere lo status di Paese candidato all’Ue per l’Ucraina (e Moldavia). E in effetti dovrebbe essere un giorno di festa, perché il sì rappresenta per l’Unione una scelta geopolitica. Ma è una festa al momento sospesa. Al Consiglio è scoppiato infatti lo psicodramma dei Balcani occidentali: nessun risultato tangibile, per loro, dal vertice con i 27 leader a causa dei veti incrociati. «È una brutta pagina», ha tagliato corto l’alto rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell. E dunque si discute a oltranza, per garantire comunque una prospettiva ai vicini più vicini. La questione è arzigogolata. L’Albania e la Nord Macedonia, dopo anni di riforme, non riescono ad ottenere l’apertura dei negoziati per l’adesione a causa del blocco della Bulgaria, che sbarra la strada a Skopje per questioni identitarie.

Il premier filo-occidentale Kiril Petkov è arrivato a Bruxelles ufficialmente sfiduciato dal Parlamento, con una crisi politica in massima esplosione, in parte proprio per aver tentato di sciogliere la matassa. La Francia ha tentato una mediazione, con un piano in queste ore all’esame dei deputati nel corso di una seduta straordinaria, che prevede però anche delle modifiche costituzionali per la Macedonia del Nord. «La proposta francese in questa forma è inaccettabile per noi», ha però tuonato il premier macedone, Dimitar Kovacevski, in conferenza stampa. A complicare le cose, i sondaggi in Bulgaria: se si andrà a nuove elezioni, i partiti populisti e filo-russi rischiano di prendere molti voti. Dunque tocca muoversi con delicatezza. Esattamente il contrario del premier albanese, Edi Rama.

Che ha sparato a palle incatenate. «È una vergogna che un Paese Nato, la Bulgaria, tenga in ostaggio altri due Paesi Nato, la Nord Macedonia e l’Albania, nel pieno di una guerra nel nostro cortile di casa e che altri 26 membri dell’Ue restino fermi e impotenti». Il problema è sempre l’unanimità. E infatti Borrell, scuro in volto, ha ribadito l’ovvio: «Dobbiamo andare oltre, non possiamo continuare ad accettare che un membro solo blocchi tutto». Ma per ora è così. Se questo è lo scoglio più tagliente, ci sono altri intralci. La liberalizzazione dei visti per il Kossovo, ad esempio. O la concessione dello status di Paese candidato alla Bosnia-Erzegovina. Ecco, sul punto è scattata una battaglia di Slovenia e Austria per chiedere più coraggio ai leader europei e quindi ci potrebbe essere l’escamotage di equipararla alla Georgia, alla quale verrà assicurata una «prospettiva europea" condizionata a certe riforme.

Nessuno, a quanto si apprende, ha evocato l’ipotesi di veti ai danni dell’Ucraina (o della Moldavia). La discussione, semmai, è come, quanto e in che forma investire sul futuro. «C'è una forte volontà politica di rivitalizzare il processo con i Balcani occidentali, per inviare un messaggio molto chiaro e forte», ha assicurato il presidente del Consiglio Charles Michel. Benissimo. Allora registriamolo nelle conclusioni del vertice, propongono alcuni Stati membri. Peraltro la questione si salda con la proposta avanzata da Emmanuel Macron di creare una «comunità politica europea» non alternativa al processo di allargamento ma che possa accomodare in pieno tutto lo spirito europeo. Magari tenendo dentro anche il Regno Unito. La proposta raccoglie il plauso del presidente serbo Aleksander Vucic (al quale sono state comunque tirate le orecchie per il mancato allineamento alle sanzioni contro la Russia). «Sarebbe l’unico modo per i Balcani di essere ascoltati e, allo stesso tempo, di confrontarci con l’Ue», ha spiegato. Ma è l’inizio di un lungo percorso, questo vertice non deciderà niente. La geopolitica, per l’Unione, resta un percorso a tappe, non senza ostacoli.

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