Il ministro degli Esteri Israel Katz, che attualmente sostituisce Netanyahu, ha confermato che non ci sarà alcun cessate il fuoco nel nord e che Israele combatterà Hezbollah fino alla vittoria, garantendo la sicurezza dei residenti del nord. Secondo alcune indiscrezioni di stampa, Netanyahu avrebbe inizialmente mostrato un'apertura verso una tregua, salvo poi fare marcia indietro sotto le pressioni dell'ala più dura del governo. L'estrema destra del governo, guidata dal ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, si è opposta fermamente a qualsiasi cessate il fuoco permanente, minacciando di far uscire il suo partito dalla coalizione. Anche figure del Likud e il leader di New Hope, Gideon Sàar, hanno espresso opposizione, sostenendo che solo Hezbollah ne trarrebbe vantaggio. Dall'opposizione, il leader di Yesh Atid, Yair Lapid, ha suggerito di accettare una tregua di soli 7 giorni, per evitare che Hezbollah ripristini i suoi sistemi di comando e controllo. Lapid ha ribadito che qualsiasi proposta deve includere la rimozione di Hezbollah dal confine settentrionale e consentire la ripresa dei negoziati per la liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas. Nel frattempo, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha approvato la continuazione delle operazioni offensive contro Hezbollah, dopo un incontro con alti funzionari della sicurezza e dell'intelligence israeliana. Durante l'incontro, è stato seguito in diretta un nuovo attacco mirato contro un comandante di Hezbollah, Mohammed Srur, noto come Abu Saleh, che è stato ucciso dall'Idf. Tra i recenti attacchi, l'Idf ha colpito un'infrastruttura usata da Hezbollah al confine tra Siria e Libano per il contrabbando di armi, e un edificio a Baalbek, causando la morte di 23 lavoratori siriani. Dall'inizio della campagna di bombardamenti, più di 22.000 persone, di cui la metà siriani, sono fuggite verso la Siria.