La sala piena ma composta, i volti severi e concentrati, gli scambi fitti tra i vertici militari: Israele sceglie pochi secondi di video per raccontare il momento della svolta, quello in cui va in scena l’operazione 'New Order' per eliminare il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Con immagini che riportano alla mente quella 'Situation Room' in cui l'allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama seguì con il suo team e i militari l’Operazione Neptune Spear, che portò all’uccisione del leader di al-Qaeda Osama bin Laden nel 2011. Nel filmato - diffuso dall’Idf e censurato in alcune parti per non mostrare segreti militari - la tensione riempie la sala del Centro di comando dell’aeronautica israeliana, quando si avvicina il momento di attaccare. Alle redini l’operazione - che per gli analisti ha richiesto «incredibile preparazione» con il coinvolgimento dell’intelligence - c'è il capo di stato maggiore Herzi Halevi. Accanto a lui, il ministro della Difesa Yoav Gallant, nella sua consueta camicia nera, e il capo dell’Aeronautica Tomer Bar. Contemporaneamente, dall’altra parte del mondo, è Benyamin Netanyahu a dare l’ok al raid su Beirut: l'immagine del premier israeliano seduto alla scrivania, al 'telefono rosso' da New York per dare luce verde al bombardamento è diventata subito simbolo del colpo micidiale sferrato contro il gruppo sciita libanese, il punto di massima tensione dopo giorni di escalation militare tra i due schieramenti. Un’approvazione giunta giovedì sera - ricostruisce Channel 12 - dopo che l’opzione dell’attacco è stata messa sul tavolo fin da mercoledì, dopo discussioni che hanno coinvolto i capi di Mossad, Shin Bet e il ministro Gallant. Ma il premier non ha approvato l’operazione prima di partire per gli Usa, dove giovedì ha tenuto ulteriori consultazioni telefoniche fino a convocare, in serata, il gabinetto per ottenere l’autorizzazione formale a procedere. Venerdì mattina - ricostruisce ancora Channel 12 - Gallant si è recato al confine settentrionale e ha definito vari dettagli con il capo del comando settentrionale dell’Idf. Nel pomeriggio, il capo di stato maggiore dell’IDF Herzi Halevi ha incontrato Gallant e gli ha detto: «Abbiamo ciò di cui abbiamo bisogno. Possiamo procedere con l’operazione. Sappiamo che Nasrallah è nel bunker». Così Israele ha agito, sferrando un raid sulla capitale libanese mentre Netanyahu stava svolgendo un briefing con la stampa a NY. Informato dell’attacco dal suo consigliere militare, il premier ha lasciato in fretta e furia la conferenza stampa, per poi annunciare il suo rientro anticipato in Israele. Con gli Stati Uniti che nel frattempo hanno mal digerito - riferiscono ancora i media - la notizia del bombardamento, sentendosi «raggirati» dopo essersi impegnati con Israele per un possibile cessate il fuoco con Hezbollah. Il raid aereo, condotto dai jet da combattimento israeliani, ha preso di mira il quartier generale centrale di Hezbollah: 80 le bombe sganciate, del peso di una tonnellata ciascuna, per raggiungere le profondità del bunker dove si trovavano Nasrallah e altri vertici del Partito di Dio. Riuniti - stando all’Idf - sottoterra per «coordinare attività terroristiche contro i cittadini dello Stato di Israele». Lo Squadrone 69 dell’Iaf, conosciuto come 'The hammers', ha guidato l’attacco con i suoi aerei F-15i, considerati i principali bombardieri dell’esercito israeliano. Nelle loro comunicazioni in volo, c'è tutta la soddisfazione per un’operazione che cambierà radicalmente la guerra: «Credo che abbiamo dato una dimostrazione di vittoria qui. Speriamo davvero di aver decapitato questa organizzazione terroristica, ben fatto, siamo molto orgogliosi», dice nell’audio diffuso dall’Idf il comandante Tomer Bar rivolgendosi al capo dello squadrone dei jet. «Grazie mille comandante», la risposta del pilota prima di ribadire quello che è ormai un mantra della dirigenza militare israeliana: «Raggiungeremo chiunque e ovunque. E faremo tutto il necessario per portare gli ostaggi a casa e riportare i residenti a nord».