Più di 300mila profughi siriani in Libano, di cui almeno 200mila minori, sono scappati dal conflitto tra Israele e Hezbollah rientrando nel loro Paese. Ma a differenza di decine di migliaia di libanesi in fuga oltre confine, questi siriani sono di fatto considerati dei migranti in casa loro. Per lo più senza documenti di proprietà e dopo 13 anni di esilio, la maggior parte dei nuclei familiari, giunti in questi ultimi giorni a Homs, Raqqa e alla periferia di Damasco, sono composti solo da madri e dai loro figli.
È la storia di Bassma, 34 anni, fuggita nel 2011 da Homs, città ancora oggi semi-distrutta nella Siria centrale e molto vicina al confine libanese. La guerra siriana ha causato l'uccisione di più di mezzo milione di persone e ha costretto oltre 10 milioni di siriani ad abbandonare le loro case.
Tra questi, oltre a Bassma, c'è Nizar, suo marito. Lui, come moltissimi altri mariti e padri, per timore di esser chiamati alle armi in un paese in guerra «da sempre» o perché ricercati dal governo come dissidenti, sono rimasti nel vicino martoriato Libano.
Nizar è rimasto nella valle libanese della Bekaa, una regione esposta ai bombardamenti israeliani. «Sempre meglio che finire nelle carceri del regime», afferma Bassma.
I loro tre figli - Luay, Ahmad e Jana, di 12, 10 e 6 anni - sono tra i circa 240mila minori rientrati in Siria. Ma sono tutti nati nei campi profughi “informali” del Libano, paese che non riconosce lo statuto di rifugiato e che, solo nei mesi scorsi, applicava misure fortemente discriminatorie nei confronti dei siriani.
Prima dello scoppio della guerra su ampia scala, un mese fa, nel Libano al collasso economico e con una popolazione di circa sei milioni di abitanti, gli oltre un milione di profughi siriani erano da più parti considerati un peso insostenibile e da «mandare a casa». Ma i tre figli di Bassma e Nizar non sanno cosa sia la Siria. E in fuga dalle bombe di Israele, l'accoglienza non è stata all’altezza delle aspettative: la Siria di oggi è un paese quasi ogni giorno bombardato da Israele, attraversato da scorribande di eserciti e milizie stranieri, sottoposto a sanzioni occidentali e sofferente per la peggiore crisi finanziaria della sua storia.
Secondo l’Onu, in un mese 425mila persone hanno attraversato il confine verso la Siria. Di questi, 306mila sono siriani (72%), di cui due terzi minori. I rimanenti sono libanesi, ospitati in strutture messe a disposizione dal governo siriano e che possono ricevere assistenza dall’UNHCR. Ma moltissimi siriani che tornano vengono trattati, di fatto, come migranti nel loro stesso paese: chi era proprietario di una casa difficilmente può farvi ritorno perché distrutta, saccheggiata, occupata da altri. Chi non è proprietario o non può dimostrare di esserlo, è costretto a trovare altre sistemazioni. Da parenti, come nel «caso fortunato» di Bassma e i tre figli.
Molti sono costretti a dormire all’aperto, nei parchi pubblici o in strada. In attesa dell’inverno.
Il governo ha annunciato di aver aperto 20 strutture temporanee e ha ammesso che la maggior parte di queste è destinata ai libanesi. Secondo Damasco, i siriani che tornano hanno già chi li accoglie.
«La situazione è invivibile», afferma Bassma descrivendo le difficoltà quotidiane dei suoi parenti. «Qui non si sa come mettere insieme il pranzo con la cena. Manca tutto. Per noi non c'è vita».
Caricamento commenti
Commenta la notizia