Prime crepe fra le scelte di Trump, scoppia il caso Hegseth: il futuro capo del Pentagono accusato di aggressione sessuale
La squadra di Donald Trump è alle prese con le prime grane legate alle nomine. Molti dei nomi scelti dal presidente-eletto hanno creato tensioni politiche fra i repubblicani senza però intaccare il transition team, convinto e sicuro del suo operato. Poi, però, sono arrivate a sorpresa le accuse di aggressione sessuale contro Pete Hegseth, nominato alla guida del Pentagono, e lo staff del presidente-eletto è piombato nel caos. Subito criticato dai vertici militari e dai democratici, l’ex anchorman della Fox ha sollevato con la sua nomina perplessità anche fra i conservatori. E ora lo scandalo delle accuse di aggressione sessuale complica ulteriormente il suo processo di conferma in Senato, apparso in salita già dalle prime battute. L'accusa risale al 2017 durante una conferenza delle donne conservatrici. La polizia di Monterey, California, ha confermato la denuncia ai danni di Hegseth, che avrebbe causato anche una contusione alla vittima. Lui ha negato seccamente le accuse in passato e lo ha fatto nelle ultime ore anche davanti a Susie Wiles, la futura responsabile dello staff della Casa Bianca. Smentite che, però, non hanno attenuato i timori di molti all’interno del transition team, preoccupato dalla possibilità che emergano nuove rivelazioni. Ieri Trump, tramite il suo portavoce, aveva difeso Hegseth: «E' qualificato. Ha negato tutte le accuse, Non vediamo l’ora della sua conferma», aveva liquidato la questione Steven Cheung, il direttore della comunicazione del presidente-eletto. Ma sembra che prima di indicarlo, il tycoon era stato informato sulle accuse all’ex anchor. Nessuna parola anche sul tatuaggio di Hegseth, che sul bicipite ha scritto 'Deus Vult', il grido 'Dio lo vuolè usato dai cristiani durante le Crociate. L’espressione è stata usata da alcuni degli assalitori del 6 gennaio ed è abbracciata anche dall’estrema destra. «E' un motto cristiano», ha tagliato corto il vicepresidente eletto JD Vance, cercando di smorzare le polemiche. Ma nella bufera non c'è solo Hegseth. La nomina di Matt Gaetz a ministro della giustizia continua infatti a far discutere. Anche per lui a pesare sono accuse a sfondo sessuale, inclusi rapporti con una minorenne. La commissione etica della camera, che da tempo indaga sul caso, non ha diffuso il suo atteso rapporto sull'ex deputato della Florida su pressione dello speaker della camera Mike Johnson. Secondo indiscrezioni il report includerebbe la testimonianza di una donna che avrebbe assistito al rapporto sessuale fra Gaetz e una diciassettenne. Ancora profondamente scottati dalla sconfitta, i democratici sono sul piede di guerra e si preparano a dare battaglia contro le nomine del presidente nella consapevolezza che la maggioranza repubblicana in Senato non è poi così solida. Oltre a Gaetz e Hegseth, i liberal puntano il dito contro la scelta di Tulsi Gabbard alla guida dell’intelligence e continuano a ripetere, senza offrire prove, che è un asset russo. Pur guardando alla battaglia che li attende in Congresso, i democratici lavorano a un piano di resistenza per arginare Trump. Abbandonando i cappellini rosa e le proteste di massa del 2017, i liberal puntano a un’opposizione più decisa facendo leva sui governatori liberal. Dalla California all’Illinois sono infatti in atto le grandi manovre per creare una coalizione anti-Trump. Un compito non facile: profondamente spaccati al loro interno e frustrati con l’ex speaker Nancy Pelosi, i democratici si trovano a fare i conti con un partito a pezzi in cerca di un leader e alle prese con i diversi interessi di chi aspira alla Casa Bianca nel 2028. La lista include già il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro e la numero uno del Michigan Gretchen Whitmer, le cui ambizioni sono state profondamente ridimensionate dopo la seconda sconfitta di una donna candidata alla presidenza.