Giovedì 26 Dicembre 2024

Guerra in Siria: ribelli verso Homs: vertice in programma a Doha

Fighters fire towards Syrian Army troops in the Rashidin district on the outskirts of Aleppo on November 29, 2024, as Hayat Tahrir al-Sham (HTS) jihadists and allied factions continue their offensive in the Aleppo province against government forces. The jihadists along with Turkey-backed factions launched this week a shock offensive against Syrian regime troops and sparked the deadliest battle the country has seen in years, with the violence killing so far 242 people, according to the Syrian Observatory for Human Rights. The war monitor said most of the victims were combatants on both sides but also including civilians. (Photo by Bakr ALKASEM / AFP)

Prosegue l’avanzata dei ribelli siriani che continuano a sottrarre territorio al regime di Bashar al-Assad, mentre i Paesi confinanti hanno chiuso i principali valichi di frontiera e Israele ha annunciato il rafforzamento delle truppe sulle alture del Golan. I combattenti, guidati dagli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), dopo aver preso Aleppo e Hama, puntano ora su Homs. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, di base a Londra ma con una vasta rete nel Paese mediorientale, i ribelli «sono entrati nelle città di Rastan e Talbisseh», situate nella provincia di Homs, nella totale assenza dell’esercito, e si trovavano ormai a cinque chilometri dalla quarta città del Paese. Il ministero della Difesa di Damasco ha smentito, sostenendo che «non c'è verità nelle notizie... sul ritiro dell’esercito da Homs». Con l’avanzata dei ribelli nel centro del Paese, le forze governative, insieme alle milizie filo-Iran, si sono ritirate dalle zone che controllavano nella provincia di Deir Ezzor, nel nord-est, lasciando il campo alle Forze Democratiche Siriane (Sdf) guidate dai curdi e sostenute da Washington. «Per proteggere la nostra gente, i nostri combattenti del Consiglio militare di Deir Ezzor sono stati schierati nella città di Deir Ezzor e a ovest del fiume Eufrate», hanno confermato queste. Si accende lo scontro anche nell’estremo sud della Siria dove, secondo quanto riferisce Reuters citando fonti ribelli, gruppi armati hanno preso una base militare nella provincia di Daraa, vicino alla città di Herak, e il controllo del valico di frontiera di Nasib, al confine con la Giordania, dove decine di veicoli e passeggeri sono rimasti bloccati. Nella città meridionale di As-Suwayda, almeno tre persone sono morte in scontri tra milizie druse e forze di sicurezza siriane. Combattenti antigovernativi hanno anche preso il controllo della principale stazione di polizia e della più grande prigione civile ore dopo che centinaia di persone hanno protestato nella piazza principale chiedendo la caduta di Assad. Intanto, sia Beirut che Amman hanno chiuso i valichi di frontiera, resta operativo solo Masnaa, il principale snodo che collega la capitale libanese con Damasco, nella valle della Beqaa. Il Paese dei Cedri ha interrotto i collegamenti poche ore dopo che un attacco aereo israeliano ha danneggiato il valico di frontiera di al-Arida con la Siria, nell’estremo nord del Libano. L’esercito israeliano ha confermato il raid, sostenendo che il posti di confine è stato utilizzato per il trasferimento di munizioni a Hezbollah. Le stesse forze armate dello Stato ebraico hanno annunciato il rafforzamento delle truppe sulle Alture del Golan al confine con la Siria, dicendosi «preparate per qualsiasi scenario di attacco e difesa». «Non consentiremo una minaccia vicino al confine di Israele», hanno assicurato.

Fronte diplomatico

Sul versante della diplomazia, domani si incontreranno a Doha i ministri degli Esteri di Iran, Russia e Turchia, Abbas Araghchi, Serge Lavrov e Hakan Fidan, nel tentativo di rilanciare il processo di Astana alla luce degli ultimi sviluppi in Siria. Il formato, che ha sostituito il processo portato avanti a Ginevra sotto egida Onu, negli anni ha dimostrato le sue fragilità: Russia e Iran hanno avuto come obiettivo consolidare il potere di Assad per evitare che il Paese finisse sotto l’influenza americana. Da parte sua la Turchia, che con Damasco non ha rapporti dal 2011, ha sempre dato priorità al contenimento dell’organizzazione curdo-siriana Ypg. Vitale per il governo turco è anche evitare flussi di profughi che costerebbero consenso al partito del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Proprio il leader turco oggi ha nuovamente esortato Assad a «stabilire con il proprio popolo e con le opposizioni un dialogo. E lo deve fare urgentemente se vuole porre fine al conflitto attraverso una soluzione politica». Sottolineando di non aver mai ricevuto risposta da Assad alle sue aperture, Erdogan ha «auspicato» che l’avanzata dei ribelli in Siria «continui senza incidenti», dopo la conquista di «Idlib, Hama e Homs», con Damasco come naturale obiettivo. In un’intervista esclusiva alla Cnn, il leader di Hts, Abu Mohamed al Jolani, ha confermato che l’obiettivo della coalizione dei ribelli è «in definitiva rovesciare l’autoritario presidente Bashar al-Assad». «Gli iraniani hanno cercato di rilanciare il regime, guadagnandogli tempo, e in seguito anche i russi hanno cercato di sostenerlo. Ma la verità resta la stessa: questo regime è morto», ha sottolineato, facendo riferimento a piani per creare un governo basato sulle istituzioni e su un «consiglio eletto». Il ministro degli Esteri iracheno, Fuad Hussein, ha confermato l’intenzione di tenere il Paese fuori dallo scontro: «La necessità» è quella «di proteggere il territorio e i confini iracheni e di allontanare l’Iraq da qualsiasi attacco terroristico», ha affermato in un incontro con gli omologhi siriano e iraniano, aggiungendo che «tutte le forze di sicurezza irachene sono in stato di massima allerta». Da parte sua, Araghchi ha assicurato che l’Iran continuerà a sostenere il regime siriano e a fornire «tutto quello di cui ha bisogno», definendo l’offensiva una «minaccia» per l’intero Medio Oriente. Quanto al capo della diplomazia di Damasco, Bassam al-Sabbagh, ha denunciato un nuovo piano di «divisione» della regione. I tre hanno concordato di continuare le consultazioni e il coordinamento riguardo agli sviluppi in Siria, sottolineando la necessità di mobilitare tutti gli sforzi arabi, regionali e internazionali per raggiungere soluzioni pacifiche. Stando ai dati forniti dal direttore delle emergenze del Wfp, Samer AbdelJaber, i combattimenti finora hanno provocato lo sfollamento di 280 mila persone, con il timore che possano aumentare fino a 1,5 milioni.

leggi l'articolo completo