Prosegue a ritmi serrati la transizione politica in Siria con intense consultazioni per l'assegnazione dei vari ministeri nel governo a interim, guidato da Muhammad Bashir, espressione della coalizione armata islamista di Hayat Tahrir ash Sham (Hts), incarnata nel Comandante militare Ahmad Sharaa (Jolani) e da anni iscritta dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Dopo l’amnistia a tutti i militari governativi, Jolani ha assicurato però che «i torturatori» del regime degli Assad, durato 54 anni, non saranno perdonati e che per loro non ci può essere nessuna amnistia. «Li perseguiremo in Siria e chiediamo ai Paesi di consegnarci coloro che sono fuggiti affinché si possa ottenere giustizia», ha detto Sharaa, dimostrandosi abile nel dosare sorrisi rassicuranti e sguardi minacciosi.
Finora, però, le nuove autorità a Damasco non si sono espresse circa i rapporti con Israele, che nella notte ha effettuato nuovi raid aerei su obiettivi militari, proseguendo di fatto la smilitarizzazione della Siria del futuro. Un portavoce militare israeliano ha confermato quanto denunciato da media siriani circa la razzia da parte delle forze armate dello Stato ebraico - che da giorni occupano nuove porzioni di territorio siriano in violazione delle risoluzioni Onu - di un numero imprecisato di carri armati siriani e altri mezzi da guerra di Damasco.
Jolani, dal canto suo, ha presieduto a Damasco una riunione con altre fazioni armate «rivoluzionarie», provenienti dalle regioni di Daraa e Qunaytra, proprio al confine con il Golan occupato da Israele.
Queste fazioni, riunite nel Consiglio militare del sud, sono state le prime, domenica all’alba, a entrare nella capitale dopo che si erano mobilitate - per la prima volta dal 2018 - sull'onda della marcia trionfale che Hts stava compiendo provenendo da nord. Proprio il ruolo determinante delle fazioni del sud nella caduta di Damasco - dopo che le forze governative si erano già dileguate - ha dato agli insorti di Daraa e Qunaytra la possibilità di partecipare alle trattative per la nomina del futuro ministro della Difesa.
Sul tema del governo a interim, si è espresso oggi Geir Pedersen, inviato speciale Onu per la Siria, che ha rammentato a Jolani e ai suoi colonnelli, ma anche agli sponsor stranieri della coalizione ora al potere, la necessità di assicurare un processo di transizione inclusivo e rispettoso di tutte le forze politiche del paese, «per evitare una nuova guerra civile».
La guerra intestina e regionale in Siria prosegue però nei fronti nord e orientali. Sotto i colpi delle forze arabe filo-turche, le fazioni curde si sono ritirate dall’enclave di Manbij. In mattinata era stata annunciata una tregua su quel fronte dopo un accordo tra Stati Uniti e Turchia, membro della Nato.
Gli Usa sono da 10 anni presenti militarmente in Siria nel nord-est e nell’est del Paese e finora hanno sostenuto, in funzione anti-iraniana, le forze curde, espressione del Partito dei lavoratori curdi (Pkk), considerato invece «terrorista» da Ankara. La Turchia, dal canto suo, ha già occupato porzioni del nord della Siria nel 2018 e nel 2019. E sembra voler proseguire l'opera spazzando via ogni presenza curda a sud del suo confine meridionale.
Nella capitale Damasco invece la vita sta tornando, almeno in apparenza, a una fragile normalità: non c'è più il coprifuoco, le banche e i negozi hanno riaperto, i benzinai vendono ora il carburante senza più chiedere agli automobilisti la carta annonaria, ma i prezzi sono rincarati. Anche l’aeroporto internazionale di Damasco potrebbe riaprire «nei prossimi giorni».
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