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La gioia di Gaza tra bandiere, danze e speranza dopo l’annuncio dell’accordo

Clacson, danze e bandiere palestinesi hanno accolto nella Striscia di Gaza l’annuncio dell’accordo sulla tregua. Una notizia che la popolazione attendeva con ansia ma che in molti temevano non arrivasse neanche stavolta. Poi è esplosa la gioia, e la voglia di tornare alle proprie case, anche se distrutte.

La testimonianza di Ahmad Abed Almoeti

«Quando ho sentito parlare dell’accordo per la tregua, ero felice e triste allo stesso tempo: non posso dimenticare mia moglie e i miei figli, mia madre e le mie sorelle che non sono sopravvissute a questa guerra sanguinosa», dice all’ANSA Ahmad Abed Almoeti, 32 anni, gravemente ferito un anno fa in un attacco aereo: la moglie e i due figli sono rimasti uccisi, lui colpito alla schiena non è più in grado di camminare. Dopo molte operazioni, il ministero della Salute di Gaza è riuscito a mandarlo in Egitto per continuare le cure. «Mi resta da pensare che almeno molte persone sopravvivranno se questa tregua reggerà. Non vedo l’ora di rivedere il resto della mia famiglia e dei miei amici», spiega Ahmad. Secondo lui, «Gaza ha pagato un prezzo incalcolabile per liberare poche centinaia di ostaggi. Decine di migliaia di persone sono morte e molte altre sono sotto le macerie: l’accordo sui rapiti non vale questo prezzo».

La sfiducia di Majd Ramadan

«Ho perso la speranza di vedere la fine di questa guerra, non sono ancora sicura di sopravvivere senza essere ferita. Ora è troppo presto per essere felici: siamo stati in questa situazione molte volte e siamo rimasti troppo delusi», sostiene invece Majd Ramadan, 34 anni e madre di due figli, che per sfuggire al conflitto ha lasciato la sua casa nel nord di Gaza 14 mesi fa con il marito e i bambini, ha raggiunto la sua famiglia a Nuseirat, per poi essere sfollata cinque volte verso sud, a Rafah, e poi di nuovo nel centro della Striscia. Sarebbero bastati anche solo tutti gli spostamenti a fiaccare Majd, a instillarle sconforto e sfiducia. Oltre alla mancanza di cibo, ai bombardamenti, morti, macerie, paura, anche l'incertezza costante, con le trattative fallite più e più volte. Ora, per Majd e la sua famiglia, il desiderio più intenso è non parlare più di vittime tutti i giorni, sentirsi al sicuro. E poi vedere se la loro casa nel nord della Striscia esiste ancora, se ci si può abitare, o se invece è distrutta e bisogna ricostruire tutto. «In alcuni momenti ho pensato di lasciare Gaza se il confine fosse stato riaperto, ma ora voglio tornare nel mio vecchio quartiere, riavere la mia casa - racconta -. Le persone nel nord devono pensare al giorno dopo la guerra: chi governerà Gaza, come la gente affronterà le proprie perdite e come trattare i nostri figli e noi stessi dopo questo trauma».

Il ricordo di Mustafa

Mustafa ricorda di essere uscito da Gaza il 17 aprile 2024: "Da allora non ho visto mia madre e i miei fratelli, pensavo di non rivedere mai più la mia famiglia e i miei amici. Ho fatto di tutto per andare in Egitto, perché a Gaza ho perso tutto, non c'è più traccia della mia casa, e ci vorranno anni di ricostruzione per rendere di nuovo abitabile il nord». Ora, dopo tante telefonate con amici e familiari, racconta che qualcosa lo spinge a tornare: «Voglio vedere mia madre. Lei ha detto che vuole mettere una tenda sopra le macerie della nostra casa e vivere lì fino alla fine della sua vita». «Mia sorella maggiore con la sua famiglia è ancora a Gaza City, non la vedo da 15 mesi. È sopravvissuta a tanti attacchi, suo figlio ha perso la moglie e sua figlia è stata ferita alla testa. Ora hanno la speranza di sopravvivere agli ultimi giorni di guerra». Mustafa riferisce poi che la famiglia con cui ha trascorso cinque mesi, sfollata 5 volte durante la guerra, è molto felice per l'accordo: «La loro casa a Khan Yunis è ancora in piedi dopo tanti attacchi intorno, parzialmente danneggiata, ma sicuramente meglio di una tenda». La famiglia intanto ha iniziato a organizzare rifornimenti di acqua e cibo nel caso dovessero tornare a casa. «Il padre Yaqoub e la madre Maisara erano convinti di lasciare la Striscia se il valico di Rafah fosse stato riaperto, ma oggi hanno cambiato idea e sono pronti a rimanere a Gaza, anche se è molto difficile per loro che sono anziani», racconta ancora Mustafa. «Maisara ha pianto quando ha ricevuto la notizia che i colloqui per una vera tregua erano vicini a una soluzione. Ancora non crede che questo incubo stia per finire. Tutti parlano di tornare a casa, anche se è distrutta».

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