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Una playlist per te. Il Club 27 non morirà mai

Vite dissolute o fatalità tragiche, ognuno la sua storia, tutte accomunate dall'età: 27 anni. Neanche tre decenni per dire e poi morire. Per prendere e poi lasciare

Per qualcuno è il destino, Boccaccio e altri la chiamano coincidenza d'eventi. C'è un club nel rock, se ne cominciò a parlare nel '94, quando per la prima volta si mise in relazione una serie di morti premature legate, indissolubilmente, alla storia del genere. Vite dissolute o fatalità tragiche, ognuno la sua storia, tutte accomunate dall'età: 27 anni. Neanche tre decenni per dire e poi morire. Per prendere e poi lasciare. Poi solo il mito, quello che consacra chi se ne va, la leggenda del mistero, all'apice di un successo allucinante e invadente. Tutte icone, immagini scattate in un lampo, accecate dalla luce che immediatamente dopo fa vedere tutto nero.


Il primo è il nome di Robert Johnson (morì il 16 agosto 1938), l'uomo del blues e del diavolo. Scrisse poco ma fu ripreso da tanti. La sua appartenenza al club fu "ripescata" postuma, negli anni '70, quando cominciò a configurarsi quel feel rouge, una specie di ritornello d'inquietudine inquietante.

È il tempo di quelli con la J. Comincia Brian Jones (il 3 luglio 1969), il genio dei Rolling Stones si tuffa in piscina dopo essersi annegato di alcool, droga.

E nel giro di un paio d'anni toccherà prima a colui che ha nobilitato la chitarra, consegnandola ad un fascino per certi versi, i suoi versi, tutt'ora inarrivabile: Jimi Hendrix smise di vibrare il 18 settembre 1970, era venerdì.

Qualche giorno dopo toccò alla voce consumata ed interminabilmente alta di Janis Joplin, un'overdose, si riempì le vene di mancanza il 4 ottobre. È la prima donna del gruppo, è la prima donna e basta.

Il 3 luglio 1971 l'apocalisse di Jim Morrison, "this is the end" per il leader dei Doors, un poster che suona come testamento per chi lo ha avuto, per quelli che ancora l'avrebbero voluto.

Quindi Ronald “Pigpen” McKernan, il fondatore (insieme a Jerry Garcia e Bob Weir) dei Grateful Dead (e già questo dice, se non tutto, molto): l'8 marzo 1973 era solo con se stesso e i suoi mostri.

Kurt Cobain si uccise il 5 aprile 1994. Fu un suicidio conclamato (non che gli altri non lo fossero altrettanto...), c'entrava forse la sua casa. Lasciò un messaggio, lo lanciò per spiegare, magari per spiegarsi. Per dare senso al suo lasciarsi andare.

Il 23 luglio 2011 ancora me lo ricordo. Me lo disse la radio che Amy Winehouse non c'era più. Un'altra donna, che come Janis ha cercato appoggio su chi ha permesso che cadesse.

Jeremy Michael Ward (maggio 2013), Fredo Santana, il rapper e trapper americano stroncato da un infarto il 19 gennaio 2018. E chissà quanti altri, più o meno celebri che importa.

Se la musica non li ha salvati, la loro musica li ha conservati. Ma, nell'aldilà del dolore, rimane una eco che vale sempre la pena ascoltare. E riascoltare, e riascoltare...

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