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Daniele Silvestri da cantautore a... cantastorie. In tour in Sicilia (giovedì a Messina)

Accanto alle hit di sempre i nuovi brani dell’ultimo «Disco X»

Daniele Silvestri

Le brutture della guerra, la persistenza del pregiudizio, la piaga dell’immigrazione e, a far da contraltare, l’amore, i sentimenti nobili, la ricchezza della propria identità nelle undici tracce (più una nascosta) di «Disco X» (Epic/Sony Music), decimo album di Daniele Silvestri, alfiere della canzone d’autore contemporanea, in giro per l’Italia col tour «Estate X». Un grande concerto che, dopo la tappa di domani a Zafferana Etnea per “Sotto il Vulcano Fest”, approderà giovedì all’Arena Capo Peloro per “Messina Città della Musica e degli Eventi”.

In scaletta le hit storiche di Silvestri – da «Le cose in comune» a «L’uomo col megafono» passando per «La paranza» e «Salirò» – accanto ai brani dell’ultimo lavoro, in cui il cantautore romano si fa testimone consapevole del Paese in cui viviamo e di chi lo abita, con ospiti del calibro di Giorgia, Fulminacci, Emanuela Fanelli, il palermitano Davide Shorty e altri. Ad accompagnare Silvestri Gabriele Lazzarotti (basso), Daniele Fiaschi (chitarre), Duilio Galioto (tastiere e cori), Marco Santoro (fagotto, tromba e cori), Josè Ramon Caraballo (percussioni, tromba e cori), Piero Monterisi (batteria) e Gianluca Misiti (tastiere).

«Il titolo indica tanto una cartella del pc con alcune canzoni, quanto il numero del disco – ci dice – . Ma nel corso dei mesi quella X è diventata un’incognita, un elemento di mistero custodito fino all’ultimo. Il significato è anche quello di “disco qualsiasi”, metafora del non voler emergere nell’immediato, ma lavorare su qualcosa di attuale e quotidiano che scopra delle profondità. E l’album presenta una fluidità lirica e musicale su temi che bisogna scoprire da sé».

Infatti «Disco X» spazia fra pop-rock, elettronica, jazz e inserti rap e alterna brani sull’amore («Tutta», «Cinema d’essai») a temi civili ed intimisti come l’immigrazione e il pregiudizio, o la guerra che coinvolge i bambini. Come sono nati?

«Mi sono ritrovato più cantastorie che cantautore, facendo da tramite a episodi e situazioni che mi vengono raccontati. Per un paio d’anni ho chiesto ai fan di inviarmi storie e ho ascoltato tanto perché sono un curioso dell’essere umano. Rispetto ad altri album del passato, interpreti di mie battaglie personali, ho lasciato spazio al fascino e ai significati di ciò che mi veniva affidato, sia intimo che di natura pubblica. E dato che il racconto ha bisogno alle volte di un’altra voce che sia quella giusta, ho pensato alle collaborazioni dell’album, in tal senso perfette».

Il tuo stile cantautorale è sempre stato semplice e diretto, ma anche incisivo e profondo. Quali i tuoi riferimenti musicali?

«Ho iniziato a scrivere canzoni a 12 anni e le influenze cantautorali erano quelle di artisti come Edoardo Bennato, capace di far diventare un intero disco una piccola opera rock basata su un racconto. Ma le influenze sono infinite, da Lucio Dalla (omaggiato nel brano «Scrupoli», ndr), Paolo Conte, Bob Marley, i Police e molti dischi jazz, essendo stata mia madre Emanuela Casali una jazzista».

Ci può essere spazio oggi per una musica d’autore o comunque lontana dai canoni?

«Dallo spazio mainstream sembrerebbe di no, per la discreta omologazione di chi produce e ascolta. Eppure noto che gli esponenti di questa musica da millennial hanno bisogno loro per primi di ricerca e contaminazione, più di quanto si possa immaginare. Può capitare infatti che in spiaggia i ragazzi ascoltino a tutto volume tanto la trap quanto un brano di De André. Per cui sono abbastanza fiducioso che la musica d’autore troverà un suo spazio e una ragion d’essere».

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