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Allarme challenge sui social, il Garante Privacy alla Camera: più consapevolezza nei giovani

Il prof. Pasquale Stanzione assieme all'on. Federico Mollicone

Nessuna tutela potrà mai essere «pienamente efficace in assenza di una reale consapevolezza del minore, che ne promuova la capacità di discernimento e, quindi, di autodeterminazione, necessaria per vivere la dimensione digitale come una vera risorsa e non come il luogo dove si possa incontrare la morte per effetto di una sfida perversa. Le campagne promosse, negli ultimi anni, dall’Autorità e dal Telefono azzurro, per la sensibilizzazione dei genitori rispetto al loro ruolo di vigilanza e informazione dei figli circa l’uso corretto del web, miravano anche a promuovere, con il contributo delle famiglie, un’essenziale alfabetizzazione digitale dei ragazzi.  Le politiche dell’innovazione devono fondarsi dunque e prioritariamente su di una vera e propria pedagogia digitale, che renda anzitutto i ragazzi consci delle opportunità ma anche dei rischi cui li espone la rete, sfruttandone tutte le straordinarie risorse per essere più consapevoli, mai meno liberi».

A ribadirlo il prof. Pasquale Stanzione, presidente del collegio del Garante per la protezione dei dati personali, durante l’audizione tenutasi nei giorni scorsi di fronte alla VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera per l’esame della risoluzione 7-00055, recante “iniziative per contrastare la diffusione delle sfide di resistenza (challenge) nelle reti sociali telematiche” . Il presidente ha voluto ringraziare la Commissione, presieduta dall'on. Federico Mollicone, «per la sensibilità dimostrata nel voler affrontare, anche dal punto di vista della protezione dei dati personali un tema di tale rilievo quale quello della diffusione, sui social network, di sfide tra adolescenti talora anche letali». Il garante ha ricordato il caso  “Blue Whale” del 2017, una «sfida con effetto manipolativo dai contenuti quasi istigativi al suicidio, che peraltro ha condotto in Italia, nel 2021, a una condanna per violenza privata ed atti persecutori. Altri casi noti hanno riguardato la morte, nel gennaio 2021, di una bimba palermitana di soli dieci anni che aveva aderito all’incitamento a pratiche di soffocamento, nell’ambito di una macabra sfida su Tik Tok. Tra le più recenti merita considerazione, in particolare, quella della “cicatrice francese”, diffusa anche in Italia ed oggetto della risoluzione in discussione».

 Non demonizzare i social

«Naturalmente - ha aggiunto Stanzione - i social network non sono solo questo e, come correttamente rileva la stessa risoluzione, il loro uso non va demonizzato né, aggiungo, subito, ma governato con consapevolezza. Le stesse sfide sui social non presentano tutte e soltanto contenuti autolesionistici o comunque pericolosi: ve ne sono anche di innocue, come quella relativa alla pubblicazione della lista dei propri libri o film preferiti o di foto degli utenti da piccoli. Ma è evidente come anche soltanto la possibilità del coinvolgimento di minori in “giochi” potenzialmente persino mortali, per effetto dell’esposizione a contenuti dalla valenza manipolatoria o, comunque, fortemente condizionante, non può lasciare inerti le istituzioni».  «Il tema delle sfide sui social - ha ammonito il Garante - va inquadrato all’interno della più ampia questione dell’uso inadeguato della rete e, in particolare, dei social network da parte dei minori. Esso va regolamentato e gestito con attenzione, per consentire ai ragazzi di fruire delle molte opportunità (di conoscenza, informazione, relazioni sociali) offerte dalla rete, in condizioni tuttavia di sicurezza. Fenomeni drammatici come il grooming, il cyberbullismo, il revenge-porn, il coinvolgimento in “giochi” mortali hanno infatti in comune, pur nelle loro differenze, l’esposizione del minore a un mezzo, quale la rete, che se utilizzato in modo sbagliato o in assenza della necessaria consapevolezza e capacità di autodeterminazione, può avere effetti fortemente lesivi. - ha spiegato il giurista -  Per un minore è, infatti, spesso difficile opporre un diniego a una richiesta di condivisione di immagini o, comunque, contenuti della cui lesività non sempre riesce ad avere contezza. Molti adescamenti nascono, infatti, con la richiesta al minore di cessione di immagini o dati privatissimi in cambio di altro, con la possibilità, pericolosissima, di incontri non più solo virtuali. Rispetto al coinvolgimento nelle sfide anche potenzialmente autolesive gioca, invece, la componente ulteriore del rito d’iniziazione, della volontà del minore, tanto più se fragile, di sentirsi accettato dal “gruppo”. Sono, naturalmente, dinamiche note e tipicamente adolescenziali, ma che con i social network e le infinite possibilità d’interazione da essi consentite si espandono, spesso, oltre le cautele apposte dai genitori nel mondo off-line, con la selezione della cerchia di amici di riferimento, dei contesti e delle attività consentite al minore, delle sue possibilità di scelta autonoma».

Necessarie le soglie di accesso

«Questi pericoli si amplificano, del resto, in misura esponenziale quanto più piccoli e, dunque, tendenzialmente immaturi siano gli utenti delle piattaforme: stabilire la soglia di accesso autonomo dei minori alla rete diviene, dunque, tema cruciale per impedire i rischi della “solitudine digitale”.  Il carattere realmente consapevole del consenso da un lato e il criterio della reversibilità delle scelte assunte dal minore, dall’altro, bilanciano dunque, in chiave di tutela rispettivamente preventiva e successiva, l’estensione della sfera di autonomia decisionale del minore in un ambito, quale quello della proiezione digitale della persona, sempre più rilevante per i ragazzi di oggi». L’Italia, dopo un ampio dibattito, «ha fissato a 14 anni la soglia per la prestazione autonoma del consenso da parte del minore. Naturalmente, proprio le peculiarità del contesto digitale determinano criticità, nell’accertamento dell’età dell’utente, rispetto alle quali il Garante ha inteso concentrare, anche recentemente, la propria azione. I numerosi provvedimenti adottati in materia sono, infatti, complessivamente volti a garantire che l’anticipazione dell’autonomia decisionale riconosciuta al minore non si presti ad abusi o non si risolva in un pregiudizio per il ragazzo stesso.  Le carenze riscontrate nel sistema di accertamento dell’età di Tik Tok hanno, in particolare, indotto l’Autorità dapprima a promuovere la costituzione di una task-force in sede europea e, quindi, dopo la morte della bimba palermitana, all’avvio, nel 2021, di un complesso procedimento. Esso, attraverso misure dapprima inibitorie e poi prescrittive, ha sensibilizzato quella ed altre piattaforme analoghe sull’esigenza di adottare sistemi di age verification certi. Si è, inoltre, prescritto di rendere l’informativa maggiormente comprensibile.  Naturalmente si tratta di realtà ancora in evoluzione, rispetto alle quali vanno individuati sistemi di verifica dell’età che, pur efficaci, non si risolvano, paradossalmente, in una schedatura del minore.

Un codice di condotta per le piattaforme

In questa direzione «si muove, ad esempio, il tavolo istituito con il recente protocollo d’intesa tra Garante ed Agcom, per la promozione di un codice di condotta relativo ai sistemi per la verifica dell’età delle piattaforme. Peraltro a livello europeo, con la strategia europea per un “Internet migliore per i bambini” la Commissione si è impegnata, in particolare, a proporre, a partire dal 2023, una disciplina europea per la verifica dell'età nel contesto della proposta sull'identità digitale europea».

Ed è proprio questa convergenza di azioni la chiave metodologica per affrontare, afferma il prof. Stanzione, «un problema complesso quale quello dell’uso sostenibile del web da parte dei minori, del quale appunto il coinvolgimento in giochi pericolosi è uno degli aspetti tra i più drammatici. Da un lato, infatti, è preliminare garantire che sia effettivamente inibito l’accesso autonomo alle piattaforme agli infraquattordicenni, dall’altro lato, tuttavia, anche laddove tale limite sia osservato, è comunque necessario proteggere i minori, seppur ultraquattordicenni, dall’esposizione a contenuti inappropriati di vario tipo. Una prima soluzione è quella della selezione, mediante parental control, dei contenuti a visione non libera. Andrebbero, in ogni caso, valorizzate le misure di privacy by design e by default, che consentirebbero di configurare, sin dall’origine, programmi e dispositivi in modo sicuro. Più complessa è la questione della tutela generalizzata del minore rispetto a contenuti inappropriati.  L’obiettivo, sul punto, è realizzare un equilibrio sostenibile tra libertà di espressione, assenza di obbligo di sorveglianza preventiva del provider sui contenuti e tutela del minore».

Ma è la rimozione dei contenuti afferma il garante «la soluzione preferibile rispetto a piattaforme, quali appunto i social network, a contenuto aperto, derivante dall’interazione degli utenti e dunque difficilmente classificabile in via preventiva». «Ma in linea più generale, soprattutto per limitare la diffusione di contenuti che inducano i minori a misurarsi con sfide pericolose, si potrebbe allora considerare una proposta approvata, nella scorsa legislatura, dal Senato (come emendamento al ddl AS 2086), volta a trasporre, sul terreno dell’istigazione all’autolesionismo, la specifica tutela accordata dal Garante al minore rispetto al cyberbullismo. La norma legittimava, infatti, la richiesta (anche da parte degli stessi minori ultra 14enni) al gestore della piattaforma o, in caso di inerzia, al Garante, di rimozione dei contenuti illeciti (perché, appunto, istigativi alla violenza o all’autolesionismo). Su questa soluzione può tornare a riflettersi, in quanto capace, meglio di altre, di bilanciare esigenze di tutela del minore dal rischio di esposizione a contenuti inappropriati e libertà di espressione».

Rubrica settimanale pubblicata sull'inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud  in collaborazione con il Garante per la Protezione dei Dati Personali  nell’ambito dell’adesione di Società Editrice Sud al Manifesto di Pietrarsa

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