Tra frizioni e espulsioni, la maggioranza gialloverde entra nel 2019 con due senatori di meno. E a Palazzo Madama torna lo spettro del 'pallottolierè, della febbrile conta, giorno dopo giorno, delle presenze in Aula. Un pò come avvenne ai tempi del secondo governo di Romano Prodi. Stavolta, a tenere in ansia l’esecutivo non è il 'Mastella della Pampa', come era soprannominato l’italo-argentino Luigi Egidio Pallaro. Tantomeno il trozkista Franco Turigliatto.
A impensierire la tenuta della maggioranza gialloverde sono gli espulsi 5S, Gregorio De Falco e Saverio De Bonis, e il rischio che anche altri possano subire la stessa sorte, come Paola Nugnes e Elena Fattori, ora in attesa di 'giudiziò da parte dei probiviri. Ecco i numeri. Al Senato, quando nacque il governo, Giuseppe Conte poté contare su 171 voti di fiducia, ben 10 oltre la soglia necessaria. Una maggioranza così formata: 58 leghisti, 109 pentastellati, per un totale di 167 voti, a cui si aggiunsero quelli di due ex M5S, Buccarella e Martelli, espulsi sin dall’inizio legislatura ma da subito pronti a votare a favore, e quelli di due eletti all’estero del Maie. Ora, senza i due nuovi espulsi, la maggioranza scende a 169. E, nel caso in cui dovessero essere cacciati anche le due senatrici ancora 'sub iudice', si arriverebbe a quota 167, appena sei voti sopra il livello di guardia del quorum.
Numeri ballerini, che inevitabilmente spingono a pensare che qualcuno stia già lavorando per un allargamento. Tuttavia, la Lega fa sapere di essere «tranquillissima», sottolineando che anche prima dell’espulsione formale di Capodanno, questi senatori 5s «già non votavano a favore della maggioranza». Tutto fermo quindi nei confronti dei Fratelli d’Italia, il partito sorvegliato speciale, vista la oggettiva vicinanza con molte delle tesi programmatiche della Lega. Lo stesso Ignazio La Russa chiarisce che il suo partito «rebus sic stantibus non è né l'ambulanza, né il pronto soccorso» di questo governo. Semmai, ammette l’ex ministro, l’opposizione 'patriotà sarebbe interessata a un confronto ma solo in presenza di un nuovo esecutivo «non basato su un 'contrattò, ma su un programma realmente condiviso». Da qui la reiterazione dell’appello alla Lega ad «aprire una fare politica realmente nuova per il bene degli italiani».
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