Il Reddito di cittadinanza rischia di innescare «una vera e propria guerra tra poveri». A lanciare l'allarme sono i sindacati (Cgil, Cisl e uil), convocati in Parlamento per parlare del Decretone varato dal governo gialloverde.
Critiche a cui si sono aggiunte le voci della Caritas e di molte altre associazioni del terzo settore che temono un incremento delle diseguaglianze e dunque un effetto paradossale per un provvedimento che proprio della lotta alla povertà ha fatto il suo obiettivo. Eppure anche secondo l'Ufficio parlamentare del bilancio oltre un quarto delle famiglie più in difficoltà non sarebbe raggiunto in effetti dal nuovo sussidio.
«Parole convulse e isteriche», è però la replica a sera dell’Esecutivo per bocca del Sottosegretario 5S, con delega all’Editoria, Vito Crimi. Il decreto legge deve ancora entrare nel vivo dell’iter parlamentare (solo in settimana verrà decisa la scadenza per presentare gli emendamenti in Senato) ma non è escluso che alcune delle critiche avanzate in questi giorni dai vari interlocutori, anche istituzionali, possano essere tradotte in proposte di modifica, a partire da ulteriori ritocchi sul fronte dei fondi per i disabili che già sono stati oggetto di un braccio di ferro all’interno della maggioranza.
Per l’Alleanza contro la povertà il cortocircuito deriva dalla concezione del Reddito: focalizzato più sul lavoro che sulla povertà, «marginalizza - è l’obiezione - soprattutto i bambini». Un tema evidenziato anche dall’Upb, convinto che come "l'aspetto critico principale» risieda nella scala di equivalenza scelta, che «svantaggia i nuclei più numerosi». Altro requisito criticato, quello che prevede l’obbligo di residenza in Italia da almeno 10 anni e che i sindacati definiscono inaccettabile: «troppo vincolante nei confronti dei cittadini stranieri, iniquo verso l’intera platea dei soggetti in condizione di bisogno, a partire dai senza dimora».
Ma i rischi che arrivano con il Reddito non finiscono qui. Sempre secondo i calcoli dell’Upb, potrebbero verificarsi "comportamenti opportunistici". Chi infatti ha un reddito da lavoro inferiore ai 780 euro previsti dal sussidio, potrebbe decidere di licenziarsi; e se lo facessero tutti i «400mila"
potenziali percettori che oggi risultano occupati «la spesa crescerebbe di 2 miliardi a regime».
Problemi che si aggiungono a quelli più operativi, come ha evidenziato il presidente uscente di Anpal, Maurizio Del Conte: i 6000 navigator, tassello fondamentale del puzzle Reddito e che dovranno aiutare i beneficiari a trovare un lavoro, saranno assunti con contratti precari e dovranno coordinarsi con i centri dell’impiego, che sono strutture in sofferenza da tempo. Altro punto debole, la digitalizzazione a macchia di leopardo del Paese: si va, dati Anpal, dalla Valle d’Aosta dove «l'80% dei beneficiari è in possesso degli strumenti informatici necessari al «37% del Lazio e al 32% della Toscana, scendendo al 27% della Campania e al 12,4% del Molise».
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